(di Alessandra Baldini)
NEW YORK, 30 DICEMBRE – L’anno delle migrazioni epocali, dello spettro dell’Ebola, della minaccia terroristica a Parigi e in Europa, ma anche di storici accordi tra nazioni per i nuovi obiettivi dello sviluppo sostenibile (SDGs) e la lotta al cambiamento climatico: il 2015 si è chiuso all’insegna di un mondo che cambia con l’incalzare della storia e delle sfide per il Pianeta.
Un capodanno fa, a Palermo, il primo nato del 2015 era stato Mohamed, un bimbo bengalese. L’anno in corso si chiude con oltre mille sbarchi tra Catania e Palermo: migranti e profughi soccorsi da navi militari nel Canale di Sicilia.
Oltre un milione di persone in fuga hanno cercato di raggiungere l’Europa – oltre 150 mila l’Italia – fuggendo da Siria, Afghanistan, ma anche da paesi del Corno d’Africa e del Sahel attaccato da Boko Haran, di queste oltre 3.700 sono morte in mare: come il piccolo Aylan Kurdi, la cui foto a pancia in giù, come se dormisse sulla spiaggia turca di Bodrum, ha sconvolto le coscienze e fatto aprire gli occhi all’Europa.
Dei 60 milioni di profughi disseminati nel mondo, la cifra più alta dai tempi della seconda guerra mondiale, si occuperà un italiano, Filippo Grandi, dal primo gennaio nuovo Alto Commissario Onu per i rifugiati. Per OnuItalia paralleli e differenze tra allora e oggi sono stati al centro di una serie di articoli su una famiglia di profughi ebrei ungheresi, i Tannenbaum, nel campo di accoglienza di Grugliasco, alle porte di Torino. Punto di partenza: una vecchia foto in bianco e nero ritrovata negli archivi dell’Onu e esibita in una mostra al Palazzo di Vetro sui 70 anni dell’Organizzazione.
Nelle sue varie sfaccettature politiche, diplomatiche e militari, la crisi dei profughi ha visto nel 2015 un forte input italiano. Dopo cinque anni di guerra e 250mila morti in Siria, l’ex sottosegretario agli esteri Staffan de Mistura, oggi inviato speciale del Segretario Generale Ban Ki moon, ha tracciato una road map per la pace, convalidata a fine dicembre dal Consiglio di Sicurezza. Una via di uscita per la Libia, grazie anche al sostegno della diplomazia italiana, potrebbe venire dall’intesa raggiunta il 13 dicembre a Skhirat in Marocco sui prossimi passi in vista di un governo di unità nazionale: anche questa avallata dai Quindici alla vigilia di Natale.
Un italiano, il Generale Paolo Serra, sta intando affiancando l’inviato speciale dell’Onu Martin Kobler per garantire la sicurezza in vista del ritorno in gennaio del nuovo governo a Tripoli. E dal centro operativo di Centocelle, l’ammiraglio Enrico Credendino coordina l’operazione EUNAVFOR Med, varata in primavera per il contrasto agli scafisti che trafficano persone nel Mediterraneo.
Resta italiano il comando di UNIFIL nel Libano meridionale: il generale Luciano Portolano ha mantenuto la calma lungo la fragile Linea Blu del cessate il fuoco tra Israele e Libano rotto quest’anno in almeno due occasioni: la prima in gennaio è costata la vita a un casco blu spagnolo.
“Per quanto complicato, difficile, arzigogolato sia il nostro futuro, noi siamo l’Italia, un paese orgoglioso di quello che siamo e di quello che i nostri militari fanno, capaci di guardare negli occhi chiunque”, ha detto il presidente del Consiglio Matteo Renzi quando il 22 dicembre a Shama ha incontrato il contingente italiano dei Caschi Blu UNIFIL, oltre mille uomini e donne in uniforme. L’Italia e’ il primo contributore occidentale di truppe alle Nazioni Unite.
L’Italia che ha messo in campo le sue risorse scientifiche (l’ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma) e le sue ONG (innanzitutto Emergency) e’ stata in prima linea nella lotta a Ebola con finanziamenti di decine di milioni di dollari dalla Cooperazione Italiana: grazie a questi sforzi oggi l’ONU ha dichiarato i tre Paesi colpiti dall’epidemia (Guinea dopo Sierra Leone e Liberia) “Ebola free”.
E sempre sul fronte della cooperazione internazionale, la nuova Agenzia nata dalla riforma del luglio 2014 ha finalmente una direttrice, Laura Frigenti. Con l’impegno confermato dalla nuova legge di stabilità, l’Italia torna in campo dopo anni di declino dei finanziamenti, con l’obiettivo di piazzarsi al “terzo o quarto posto” tra i donatori internazionali come promesso dal primo ministro Matteo Renzi al vertice di Addis Abeba sul finanziamento allo sviluppo.
Altro punto di forza dell’Italia all’Onu è stato l’impegno con l’UNESCO nella campagna Unite4Heritage per la tutela dell’eredità culturale del Medioriente e l’Africa minacciata dai conflitti e dall’Isis. Con la vasta esperienza dei Carabinieri del Nucleo Protezione Artistica, il ministro per i Beni Culturali Dario Franceschini ha fatto approvare dall’agenzia dell’Onu la proposta di Caschi Blu della Cultura.
L’Onu ha compiuto 70 anni – la Torre di Pisa e altri monumenti italiani hanno festeggiato illuminandosi di UN Blue – e l’Italia all’Onu 60. Il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki moon ha celebrato l’anniversario a Montecitorio e poi all’EXPO per il World Food Day in cui gli è stata consegnata la Carta di Milano sul diritto umano al cibo, eredità immateriale dei sei mesi in cui l’esposizione universale ha portato a Milano 21,5 milioni di visitatori, tra cui 7 milioni di stranieri e oltre 2 milioni di studenti.
Realizzato in collaborazione con il polo alimentare dell’ONU a Roma, l’EXPO ha visto la partecipazione ufficiale di oltre 140 paesi tra cui a giugno il blocco dei paesi “meno sviluppati del mondo” (LDC) e poi, in ottobre, i piccoli stati isola (SIDS), con cui l’Italia condivide un futuro minacciato dall’innalzamento dei mari se gli obiettivi concordati in dicembre alla Conferenza sul clima di Parigi non andranno in porto. (@alebal)