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venerdì, Dicembre 13, 2024

Ucraina: un anno di guerra; Sergi, “nel 2023 tregua e negoziato?”

di Nino Sergi

ROMA, 20 FEBBRAIO – Un anno è passato da quel 24 Febbraio 2022: 365 giorni di guerra in terra ucraina; 7 milioni di rifugiati all’estero; 5 milioni di sfollati interni, 200 mila probabili morti, sia da parte ucraina che russa e altrettanti feriti e amputati; vite spezzate; infrastrutture e edifici civili colpiti; escalation militare; crescente rischio di ampliamento del conflitto e di prolungamento indefinito e incerto della guerra e delle tensioni internazionali.

CERTEZZE E PUNTI INTERROGATIVI

È certo che vi è un aggressore, la Federazione Russa, e un aggredito, l’Ucraina; che quest’ultima debba trovare il pieno sostegno internazionale per reagire all’aggressione armata ed alle brutalità che l’accompagnano; che gli ucraini possano difendersi per il tempo necessario, come vogliono e sono determinati a fare; che il disegno politico di Putin sia la pretesa di dominio, in Ucraina e non solo, in una visione etno-nazionlistica da perseguire ad ogni costo nella convinzione di poter portare indietro le lancette della storia; che sono in gioco i valori dello Stato di diritto, della democrazia, della libertà, di quelle regole di convivenza internazionale che rappresentano, pur nelle ripetute trasgressioni, una garanzia di pace e di libertà.  

E’ altrettanto certo che dopo un anno sono più gli interrogativi – a cui è impossibile dare risposta – che non le certezze sulle reali possibilità di mettere fine alla guerra in tempi brevi. La legittimità delle differenti posizioni politiche conferma l’ampiezza di tali interrogativi. Essi richiedono ora maggiori analisi e approfondimenti per evitare di procedere, quasi per inerzia, sulla strada intrapresa del crescente livello dello scontro armato. L’aiuto internazionale non può e non deve concentrarsi sugli aspetti militari, come sta avvenendo col progressivo potenziamento degli armamenti, ma deve consistere anche e soprattutto nella parallela azione discreta, determinata e costante per riuscire a modellare una soluzione politica.

“Vincere” è l’unico modo per fermare l’aggressione? L’unica strada è la continuazione sempre più intensa dei sanguinosi combattimenti? o la riconquista di tutto il territorio ucraino nei suoi confini del 1991? L’attuale stallo potrebbe manifestare la prevedibilità di  un conflitto duraturo, con possibili pause per potersi riorganizzare e riprendere con più forza alla ricerca di un vantaggio per trattare da posizioni di forza. Perché la trattativa dovrà in ogni caso essere aperta. Ma il conseguimento di tale vantaggio porterà a scontri prolungati e a tutto campo e all’utilizzo di armi sempre più potenti, compresa forse l’arma atomica recentemente paventata dallo stesso segretario generale dell’ONU Antonio Guterres, con gravissimi costi umani, infrastrutturali, economici, geopolitici e seri rischi di una nuova guerra mondiale.

VISIONE MILITARISTA E VISIONE POLITICO-DIPLOMATICA

La guerra, più si prolunga e più produce nefandezze. Modifica anche il nostro modo di vederla, portandoci a considerarla normale, ad interiorizzarla nel nostro vivere sociale e politico, fino a sentirla interiorizzata nelle stesse Istituzioni europee, il Consiglio e la Commissione in particolare. Questa interiorizzazione potrebbe rappresentare una vittoria di Putin nel suo disegno di imporre la guerra come pratica ordinaria per risolvere i contenziosi internazionali. La guerra ha sempre alimentato la menzogna perché è necessaria a giustificarla. Ricordiamoci le falsità che hanno “motivato” le guerre in Vietnam, in Iraq, in Afghanistan, in Libia, tanto per citare le più conosciute. Anche il nostro sistema di valori è stato spesso contraddetto nelle relazioni internazionali e nell’uso della forza. Nelle guerre una delle principali armi è la menzogna, basata sulla verità che ogni Stato vede innanzitutto il proprio interesse nazionale e agisce di conseguenza, anche offuscando i propri valori e principi. 

È comprensibile che il presidente Zelensky rifiuti qualsiasi accordo che sia legato alla perdita di territori rispetto all’integrità nazionale del 1991. Sarebbe però inaccettabile che la comunità internazionale, ed in particolare l’UE, la più interessata a questo conflitto, rallentassero il lavoro politico-diplomatico di fronte alle difficoltà, certamente grandi ma non insostenibili. Non si vedono ancora le condizioni per un cessate il fuoco che porti ad una tregua e all’avvio di un negoziato. La guerra sarà forse più lunga di quanto si possa supporre. Potrebbe trasformarsi in una sanguinosa guerra di logoramento o perfino in un conflitto mondiale. Ma non per questo deve venir meno la convinzione che la pace va costruita ora, giorno dopo giorno, rafforzandone la volontà politica, l’azione diplomatica e la costante pressione sociale e culturale, fino a prevalere sull’opzione militare per una “vittoria” che rimane comunque difficile da definire. Ogni spiraglio va colto, valutato e sviluppato, da qualsiasi parte giunga. Nonostante ‘l’escalation militare’ della recente Conferenza di Monaco sulla sicurezza, segnali come quelli che vengono dalla Cina e dall’Assemblea generale dell’ONU, insieme a quelli recenti del presidente USA (anche per l’incertezza sulla prossima Amministrazione), sono da seguire con attenzione.

Nessun appello per il cessate il fuoco e per la pace ha finora prodotto risultati né è prevedibile che possa produrne sui belligeranti che non vedono alternative, per ragioni simili e contrapposte, all’escalation militare. Gli appelli, le manifestazioni, le prese di posizione politiche e la mobilitazione sociale rimangono indispensabili per non fermarsi alla visione militarista e per dare maggiore spazio all’ostinata iniziativa politico-diplomatica che non deve mai interrompersi o affievolirsi, fino a prevalere. Gli ultimi decenni hanno dimostrato che le guerre non risolvono i problemi: tutte, anche quelle definite “vittoriose”. Al massimo li spostano nel tempo, spesso modificandoli, aggravandoli, espandendoli, creando nuovi odi e nuove violenze. Potrebbe succedere anche adesso, pur di fronte a certezze di supremazia militare. Quelle stesse certezze che si sono dimostrate nel recente passato inutili e incapaci di conseguire i risultati fissati. La soluzione politico-diplomatica è la sola strada che può contenere il dominio della forza e riuscire a scomporre gli intricati nodi dei contenziosi internazionali. Va perseguita sempre e senza sosta, anche quando il suono delle armi sembra prevalere ed essere determinante. Questo è “fare politica”. 

UN COMUNE DENOMINATORE PER IL CESSATE IL FUOCO

L’Occidente non può abbandonare l’Ucraina nelle mani di Putin, continuerà quindi a rafforzarla militarmente per tutto il tempo necessario, senza cedimenti che potrebbero favorire le mire russe. E Putin sacrificherà tutto per evitarlo. Sapendo entrambi che una guerra infinita, con crescente impiego di armi, non potrà essere sostenibile più di tanto. L’azione politico-diplomatica va quindi rafforzata nonostante le difficoltà e le apparenti impossibilità, con il sostegno delle pubbliche opinioni e delle istituzioni di governo nazionali e multilaterali. Fino a giungere a quel comune denominatore che permetta il cessate il fuoco, una tregua controllata e l’avvio del negoziato per la pace. Sarà importante anche riuscire a sviluppare collegamenti, con gli strumenti del web, tra le organizzazioni della società civile europee e quella parte della società civile russa che si interroga sulle scelte del proprio paese e vorrebbe collegarsi e confrontarsi col mondo libero. Qualcosa si sta facendo ma sembra essere ancora insufficiente. 

Pace giusta?  Meglio parlare di pace possibile. È infatti sempre il risultato di accordi dopo scontri sanguinari tra nemici. Può anche derivare dalla vittoria dominatrice sull’avversario ma non pare questo il caso, nonostante improvvide supposizioni. Val la pena di ricordare che da sempre “il meglio è nemico del bene” e in questa guerra lo è ancora di più a causa dei troppi punti interrogativi (anche regionali e globali) a cui nessuno può riuscire a dare risposta; e che in una simile negoziazione occorre lascare sempre una porta aperta al dialogo, alla mediazione, senza umiliare l’avversario ma favorendo l’apertura di un nuovo cammino di relazioni internazionali e convenienza pacifica. 

Sarà innanzitutto l’Ucraina a valutare quel comune denominatore che permetta l’avvio di una trattativa. Le difficoltà dei temi che si dovranno affrontare richiederanno un coeso sostegno internazionale, a partire dagli USA, la Cina, l’UE, sarà indispensabile, dato anche l’intreccio con altri spinosi contenziosi che potrebbero aprirsi a livello globale. Si dovrà negoziare in particolare sul Donbass nella sua realtà attuale e quella del 1991 e del 2014, sull’annessione delle regioni Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia, sul grado di  autonomia e autogoverno, sulla definizione dei confini … E si tratterà sulla Crimea e la sua annessione alla Russia nel 2014 dopo un referendum svolto sotto occupazione russa e di fronte ad una reazione dell’UE e dell’Occidente esitante e debole, quasi di accettazione di un fatto considerato interno alle ex repubbliche sovietiche; come è avvenuto nel 2008 con l’invasione russa in Georgia, nell’Ossetia del sud. Quelle esitazioni peseranno e richiederanno un’attenta e obiettiva analisi storica del legame della Crimea con l’Ucraina e con la Russia. Le regioni del Donbass e la Crimea continueranno ad essere materia di aspra contesa negoziale e probabilmente di inevitabili reciproche concessioni. Tutto dipenderà comunque dalle condizioni alla base del negoziato, dalle conquiste militari, dal convinto peso politico e sostegno delle alleanze a livello internazionale e dalla loro visone del mondo dopo il conflitto.

NUOVE REGOLE PER LA CONVIVENZA PACIFICA

Finita la guerra, servirà infatti ricostruire un sistema mondiale basato sul reciproco rispetto e su regole condivise. La logica del dominio non può sostituire quella della cooperazione e convivenza pur nei normali rapporti di concorrenza e antagonismo. L’aggressività russa ha accresciuto le preoccupazioni dei paesi confinanti. Ma l’UE e la NATO e in particolare gli USA, oltre che garantire la propria sicurezza, dovranno riuscire a definire con la Federazione Russa quell’equilibrio nei rapporti politi e di potenza che non si è voluto considerare negli anni passati, dopo l’implosione dell’URSS. Questa guerra ha provocato ulteriori tensioni e spinte al riarmo, in una visione prevalentemente eurocentrica e occidentale del mondo. Visione che non è di altre regioni e altri paesi, molto meno preoccupati dalla guerra in Ucraina. Altre guerre – fanno notare – non hanno suscitato le stesse preoccupazioni e talvolta sono state provocate con il forte uso della forza dall’Occidente (anche senza la necessaria risoluzione del Consiglio di Sicurezza), che avrebbe quindi da rimproverarsi non poco mentre accusa giustamente la Russia di aver violato ogni principio internazionale. 

La ventina di astensioni di paesi africani sulle risoluzioni dell’Assemblea generale ONU di condanna della Russia per l’invasione dell’Ucraina la dice lunga. Si tratta non solo di Stati autoritari ma anche di democrazie che da tempo tendono a diversificare le alleanze economiche e strategiche aprendosi a nuove relazioni e nuovi attori, stanchi di una presenza europea e occidentale vissuta come paternalistica, ingombrante e neocoloniale, a cui si addebitano anche le impennate speculative dei prezzi alimentari e la poca considerazione dei reali problemi se non strettamente legati agli interessi occidentali. Una stanchezza che talvolta spinge a optare per la tutela russa, con forze armate regolari o con mercenari della Wagner, nel Mediterraneo, nel Sahel e in altri paesi dell’Africa subsahariana. 

Il sistema multilaterale, a partire dall’ONU, ha mostrato gravi limiti e gli Stati, in particolare i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, non hanno voluto modificarlo al fine di mantenere le proprie posizioni di interesse e di potere. I Grandi del mondo non hanno voluto cedere veri spazi di sovranità a Istituzioni multilaterali, mantenendo l’ONU debole e lasciando in second’ordine le esigenze di giustizia che sono la prima garanzia di una pacifica convivenza. Anche l’OSCE, Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa che riunisce i paesi europei occidentali e orientali, è stata poco attiva, così come è stata inefficace l’azione di varie altre istituzioni e dei tribunali multilaterali. Occorrerà incoraggiare, appena i tempi lo permetteranno, una nuova “conferenza di Helsinki” sulla sicurezza e la cooperazione in Europa per ridefinire, dopo 48 anni dalla precedente, i principi guida delle relazioni tra l’UE, i Paesi europei, l’Alleanza atlantica, la Russia e i paesi ad essa politicamente più vicini; e per favorire la riduzione delle tensioni, la comune sicurezza e la cooperazione fra gli Stati nel continente europeo. 

Con le ingenti risorse che saranno spese per questa guerra si sarebbe potuto affrontare buona parte dei problemi di povertà, fame, mancanza di istruzione, salute, formazione che colpiscono più di un terzo della popolazione mondiale e che sono una delle principali cause della migrazione; e si sarebbe potuto accelerare il programma di transizione energetica di cui si sente sempre più la necessità. Ma il mondo e le scelte politiche vanno da troppo tempo in direzione opposta, quasi bendando gli occhi per non vedere, perfino alimentando le varie decine di conflitti armati permanentemente in atto nel pianeta.

Come hanno fatto notare nei mesi scorsi le tre reti delle Ong di solidarietà e cooperazione internazionale AOI, CINI e LINK2007, c’è voluta una guerra mondiale aggressiva, con un disegno egemonico sul mondo basato sulla forza e l’oppressione, per far nascere l’Organizzazione delle Nazioni Unite al fine di promuovere pace e collaborazione fra i popoli. Ci sono volute due grandi guerre tra Stati europei per ispirare leader visionari a fare dell’Europa una regione di pace e stabilità. Dopo 30 anni dalla fine della guerra fredda, l’inaccettabile aggressione della Russia all’Ucraina e l’inimmaginabile guerra sul suolo europeo con le sue imprevedibili conseguenze impongono ora la ridefinizione di un nuovo ordine mondiale condiviso, che pur rispecchiando i pesi e gli equilibri internazionali, ponga al centro il rispetto della dignità e sovranità di ogni Stato, la priorità dei diritti e della giustizia a garanzia della democrazia nei rapporti globali, la solidarietà e la cooperazione internazionale, il rafforzamento delle istituzioni multilaterali. In questa sfida è centrale l’apporto qualificante dell’esperienza unica e positiva dell’UE. Ciò comporta la presa di coscienza della necessità di vivificare il cammino di integrazione europea e di accelerarlo superando le sue troppe lentezze e indecisioni. Solo un processo di integrazione politica e sociale, oltre che economica, può ridare rinnovato slancio all’UE, rendendola protagonista dell’affermazione della pace globale, messa in discussione dai molti conflitti aperti, fino ai suoi confini.

Nino Sergi e’ presidente emerito di INTERSOS e policy advisor di LINK2007

OnuItalia
OnuItaliahttps://onuitalia.com
Il giornale Italiano delle Nazioni Unite. Ha due redazioni, una a New York, l’altra a Roma.

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