ROMA, 24 GENNAIO – Dal 2018 l’Onu ha proclamato il 24 gennaio Giornata internazionale dell’istruzione con la Risoluzione del 3 dicembre 2018. In occasione della celebrazione di quest’anno, dedicata al tema ”To invest in people, prioritize education” il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha indirizzato un messaggio nel quale sottolinea la necessità che tutti i paesi si impegnino nel creare ”sistemi educativi in grado di supportare società eque, economie dinamiche e i sogni illimitati di ogni studente nel mondo”.
Il messaggio ribadisce che ”l’istruzione è un diritto umano fondamentale ed è il fondamento delle società, delle economie e del potenziale di ogni persona”. Ma, continua Guterres ,”senza investimenti adeguati, questo potenziale appassirà”. Oltre agli investimenti è poi necessario”porre fine a tutte le leggi e pratiche discriminatorie che ostacolano l’accesso all’istruzione”. Da qui l’esplicito appello di Guterres alle autorità dell’Afghanistan ”a revocare l’oltraggioso e controproducente divieto di accesso all’istruzione secondaria e superiore per le ragazze”. Come è avvenuto nel settembre 2022 a New York nel corso del Trasforming Education Summit 130 paesi si sono impegnati a garantire che un’istruzione universale di qualità diventi un pilastro centrale delle politiche e degli investimenti pubblici. Si tratta di reinventare i sistemi educativi in modo che ogni studente possa accedere alle conoscenze e alle competenze necessarie per avere successo. E reinventare è proprio il fulcro dell’ultimo fondamentale rapporto UNESCO 2021 sul futuro dell’istruzione che si intitola ”Reimagining our futures together: un nuovo contratto sociale per l’educazione”.
A metà strada verso l’obiettivo dell’Agenda 2030
Il 2023 si colloca a metà cammino del percorso degli obiettivi dello sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 e nello specifico dell‘obiettivo n. 4 che mira a garantire un’istruzione di qualità inclusiva ed equa e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti . Il bilancio dei progressi rispetto all’obiettivo 4 vede più ombre che luci, anche a seguito della pandemia di Covid 19 che ha travolto e stravolto anche i sistemi educativi a livello mondiale. Oggi – secondo i dati ONU – sei bambini su 10 dell’età di dieci anni non sono in grado di leggere e comprendere una semplice storia; 244 milioni di bambini e adolescenti non vanno a scuola, 617 milioni di bambini e adolescenti non sanno leggere e non hanno le competenze matematiche di base; meno del 40% delle ragazze nell’Africa sub-sahariana completa la scuola secondaria inferiore e circa quattro milioni di bambini e giovani rifugiati non vanno a scuola. Per tutti questi ragazzi e tutte queste ragazze il diritto all’istruzione, sancito dall’articolo 26 della Dichiarazione Universale dei diritti umani, viene violato ed è inaccessibile.
Se l’Unesco mette in evidenza il problema dell’istruzione per le ragazze in Afghanistan, un’altra agenzia dell’Onu, l’UNICEF oggi ricorda che la guerra in corso in Ucraina ha interrotto l’istruzione di oltre 5 milioni di bambini e chiede maggiore supporto internazionale per assicurare che i bambini non vengano lasciati ulteriormente indietro. Le conseguenze di 11 mesi di conflitto si aggiungono ai 2 anni di apprendimento persi a causa della pandemia da COVID-19 e agli oltre 8 anni di guerra per i bambini dell’Ucraina orientale. ”Le scuole e gli ambienti formativi per la prima infanzia forniscono un senso fondamentale di stabilità e sicurezza ai bambini e perdere l’istruzione può avere conseguenze per la vita”, ha dichiarato Afshan Khan, Direttore Regionale dell’UNICEF per l’Europa e l’Asia Centrale. ”Non c’è un ‘pulsante di pausa’. Non si può semplicemente rimandare l’istruzione dei bambini e tornare ad occuparsene una volta affrontate altre priorità, senza mettere a rischio il futuro di un’intera generazione”.
Anche la situazione fuori dall’Ucraina, afferma UNICEF, è preoccupante: si stima che 2 bambini ucraini rifugiati su 3 non siano attualmente iscritti al sistema scolastico del Paese ospitante. Ci sono diversi fattori alla base, tra cui le capacità formative limitate e il fatto che, all’inizio della crisi e per tutta l’estate, molte famiglie di rifugiati hanno optato per l’apprendimento online, invece di frequentare le scuole locali, nella speranza di poter tornare a casa rapidamente.