ROMA, 4 MAGGIO – Nella settimana in cui numerosi paesi riaprono molte attività chiuse con il lockdown, Filippo Grandi, Alto Commissario dell’Onu per i Rifugiati, lancia un nuovo allarme sulla pandemia da coronavirus che è tale perché, appunto, non riguarda un’area isolata del mondo ma l’intero pianeta. ”Così sarà difficile pensare di tenere il mondo al riparo dal Covid-19 se ci saranno aree nelle quali il virus non sarà debellato fino in fondo…
Se non si prendono misure sia di contenimento che di sostegno economico anche in Paesi lontani, il virus tornerà”, ha avvertito.
In un’intervista al Corriere della Sera Grandi spiega che i casi più drammatici sono “quello riguardante gli afghani nel loro Paese e in tutta la regione circostante; quello dei siriani in Medio Oriente e specialmente in Libano, e quello dei 5 milioni di venezuelani in numerosi Paese latinoamericani”. E poi Siria, Yemen, Libia dove “la sfida è proibitiva”, dice, perché “lì si prepara la tempesta perfetta: la guerra, i problemi economici e sociali e ora la pandemia. Proprio questo rende fondamentale, non solo sul piano morale, che venga accolto l’appello del segretario generale dell’Onu per un cessate il fuoco globale: se il coronavirus arrivasse in modo aggressivo nei Paesi in guerra, non potremmo fare nulla per arrestarlo. E allora ritornerebbe”.
Grandi chiede ai governi europei “di ricordarsi che la pandemia è un problema collettivo, non solo in termini morali o umanitari”, e ricorda che “l’Onu ha pubblicato un appello chiedendo 2 miliardi di dollari per le sue agenzie umanitarie. In questi giorni chiederemo di rivedere questa cifra al rialzo. Le operazioni di sostegno ai governi più deboli vanno finanziate”. E chiede anche, “nei limiti del possibile” di non distruggere “il sistema dell’accoglienza, le restrizioni siano temporanee. Non siamo di fronte a un dilemma: è possibile sia garantire la salute pubblica che proteggere i rifugiati. Si possono adottare quarantene e controlli sanitari, ma il salvataggio in mare resta un imperativo umanitario e un obbligo del diritto internazionale. Vorrei aggiungere che se oggi avessimo avuto un meccanismo di ricollocazione degli arrivi sarebbe tornato utile”.
L’Alto Commissario Onu fa l’esempio di molti “rifugiati in Calabria che fabbricano mascherine e le donano alle strutture, altri lavorano da interpreti, molti rifugiati con qualifiche mediche o paramediche si sono attivati. Noi abbiamo lanciato un’iniziativa con il Consiglio d’Europa per accelerare il riconoscimento delle qualifiche professionali soprattutto in campo medico: diamo loro una specie di passaporto professionale valido per 5 anni col quale le autorità di un Paese possono verificarne scrupolosamente la preparazione in specifici settori professionali e se dimostrano competenze, ad esempio, in ambito medico, possono impiegarli nel sistema sanitario in modo più veloce”, conclude.