GINEVRA, 21 GENNAIO – Le persone in fuga da un pericolo immediato a causa della crisi climatica, i rifugiati climatici, non possono essere costrette a tornare a casa: è la storica sentenza (”Views adopted by the Committee under article 5 (4) of the Optional Protocol, concerning communication No. 2728/2016”) del Comitato dell’Onu per i diritti umani che era stato chiamato a pronunciarsi sul caso di Ioane Teitiota, la cui casa nel piccolo Stato insulare di Kiribati, è minacciata dall’innalzamento del livello del mare.
Secondo la ricostruzione della Bbc lel 2013 Teitiota aveva chiesto asilo in Nuova Zelanda come profugo climatico, ma il governo neozelandese lo aveva rispedito a Kiribati. Teitiota ha fatto prima ricorso alla giustizia neozelandese, respinto nelle varie fasi di giudizio dall’Immigration and Protection Tribunal, dalla Corte di appello e dalla Corte suprema della Nuova Zelanda. Sebbene anche l’Onu alla fine non abbia accolto la sua richiesta perché ”non era in pericolo immediato”, così come formulata la sentenza di oggi rappresenta un precedente e apre la possibilità ad altri di chiedere asilo come profughi climatici. Vi si legge infatti che rinviare in patria i richiedenti asilo quando le loro vite sono minacciate dalla crisi climatica ‘‘può esporre le persone a una violazione dei loro diritti”, in particolare di quello alla vita”. Inoltre, ”dato che il rischio che un intero Paese venga sommerso dall’acqua è un rischio così estremo, le condizioni di vita in un Paese del genere possono diventare incompatibili con il diritto a una vita dignitosa prima che tale rischio si realizzi”.
La sentenza del Comitato dell’Onu non è vincolante, ma mette tutti i Paesi in guardia sul fatto che potrebbero violare i diritti umani di una persona se la rimandassero in un paese a rischio di pericolo immediato per il clima.
L’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) ha definito Kiribati come una dei 6 Paesi insulari del Pacifico più minacciati dall’innalzamento del livello del mare. Gli Arcipelaghi che compongono Kiribati potrebbero diventare inabitabili entro il 2050. Un rapporto della Environmental Justice Foundation ha avvertito inoltre che, entro il prossimo decennio, decine di milioni di persone potrebbero diventare profughi a causa dei cambiamenti climatici, mentre nel 2018 la Banca mondiale sosteneva che i cambiamenti climatici costringeranno oltre 140 milioni di persone a lasciare le loro case in Asia meridionale, Africa sub-sahariana e America latina.
Kate Schuetze, esperta di Pacifico di Amnesty International, vede molte possibilità nella formulazione della sentenza: ”La decisione stabilisce un precedente globale: dice che uno Stato violerà i suoi obblighi in materia di diritti umani se rimanderà qualcuno in un Paese in cui – a causa della crisi climatica – la sua vita è a rischio o in pericolo di ricevere trattamenti crudeli, disumani o degradanti. Il messaggio è chiaro: gli Stati delle isole del Pacifico non devono finire sott’acqua prima di poter vedere attivati obblighi in materia di diritti umani per proteggere il diritto alla vita. Tutti gli Stati hanno il dovere di proteggere i diritti umani e le persone dagli effetti dannosi della crisi climatica, incluso lo sfollamento. E’ pertanto indispensabile che si intervenga urgentemente per mantenere l’aumento della temperatura più basso possibile e non superiore a 1,5 ° C . Le isole del Pacifico sono il canarino nella miniera di carbone per i migranti indotti dal clima”.