ROMA, 3 OTTOBRE – In occasione della decima Giornata della memoria e dell’accoglienza, istituita dopo il naufragio del 3 ottobre 2013 al largo di Lampedusa in cui persero la vita 368 persone, le Nazioni Unite diffondono dati per i quali il Mediterraneo centrale si conferma la rotta più letale al mondo: dal 2013 a oggi oltre 28mila migranti e rifugiati hanno perso la vita nel Mediterraneo, di cui oltre 22.300 nel tratto centrale. A rilanciare questi dati sono in particolare le agenzie delle Nazioni Unite impegnate sul tema: l’Organizzazione internazionale per le Migrazioni (Oim), l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), e l’Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia.
I tre organismi in una nota stimano che solo nel 2023 sono più di 2.300 le persone morte o disperse nel Mediterraneo. Di queste, già oltre 2000 – l’88% – sulla rotta del Mediterraneo centrale. Inoltre si ricorda che pochi giorni dopo il naufragio del 3 ottobre, l’11 ottobre, un altro tragico episodio provocò quasi 300 vittime, tra cui molti bambini.
All’epoca, l’appello della comunità internazionale fu quello di impegnarsi a fondo per evitare il ripetersi delle tragedie di questo tipo. Eppure, secondo le organizzazioni dell’Onu, nel corso degli ultimi dieci anni il Mediterraneo centrale è stato teatro di continui naufragi e incidenti che hanno causato in totale almeno 22.300 morti. Inoltre, secondo le recenti stime diffuse dall’Unicef sarebbero almeno 289 i minori, 11 ogni settimana. In questi giorni le tre organizzazioni sono presenti a Lampedusa per partecipare alle cerimonie di commemorazione organizzate dal ‘Comitato 3 ottobre’, a cui partecipano le organizzazioni della società civile, rappresentanti delle istituzioni governative locali, nazionali ed europee, nonché giovani e studenti provenienti da tutta Europa.
Oim, Unhcr e Unicef proseguono avvertendo che a distanza di dieci anni, i migranti e rifugiati che attraversano il Mediterraneo non hanno ancora altra scelta se non quella di affidarsi a trafficanti senza scrupoli che li mettono in mare su barche sovraffollate e inadatte alla navigazione, talvolta in condizioni meteorologiche proibitive. Tentano la traversata persone in fuga da povertà, cambiamenti climatici o per scappare da guerre, persecuzioni e contesti pericolosi, siano essi nei loro paesi di origine, in quelli di transito o di prima destinazione, quali Libia e Tunisia. Si tratta di persone che cercano sicurezza, protezione e migliori opportunità per sé e per le loro famiglie. A seguito della tragedia del 3 ottobre 2013, si ricorda ancora, furono avviate operazioni di salvataggio coordinate fra le autorità italiane ed europee per prevenire ulteriori tragedie in mare. Tuttavia, negli ultimi anni, anche in seguito alla fine di tali operazioni congiunte, e nonostante gli sforzi della Guardia costiera e delle altre autorità competenti, il meccanismo di soccorso in mare nel Mediterraneo centrale è diventato insufficiente.
Oim, Unhcr e Unicef fanno appello ai governi affinché il salvataggio di vite umane sia una priorità assoluta e pertanto sollecitano maggiori risorse europee a supporto di un’operazione di ricerca e salvataggio dedicata, proattiva e coordinata.