Alessandro Di Rosa, 29 anni e un dottorato in Filosofia del Diritto presso l’Università di Parma e in Studi Avanzati in Diritti Umani all’Universidad Carlos III de Madrid, è ospite di Onuitalia per raccontarci la sua esperienza alle Nazioni Unite in seguito alla vittoria del prestigioso Programma per Giovani Funzionari delle Organizzazioni Internazionali (JPO) nell’edizione 2019-2020. Oggi ci parla del suo ruolo ad UNICEF e del percorso che l’ha portato a New York.
Chi è e cosa fa Alessandro Di Rosa a UNICEF?
Innanzitutto, grazie per l’opportunità di presentare il mio lavoro. Sono Alessandro Di Rosa, Programme Officer (Disability & Inclusion) al quartier generale di UNICEF a New York, Focal Point su Human Rights, Gender, Child Protection e Knowledge Management. In generale, mi piace descrivere il mio ruolo come quello del mainstreaming dei diritti umani nel mondo dello sviluppo. UNICEF è un fondo specializzato delle Nazioni Unite che si occupa dei diritti dell’infanzia sia nei contesti umanitari sia in quelli di sviluppo, il tutto entro la cornice del rispetto dei diritti umani. Il mio lavoro è particolarmente improntato alle ultime due dimensioni: il mio ruolo, infatti, è quello di sostenere la sezione Disabilità, in collaborazione con la sezione Diritti Umani, nell’assicurare che i diritti dei bambini con disabilità siano tenuti in considerazione in tutte le fasi dei programmi di sviluppo di cui si occupa l’organizzazione, ovvero pianificazione, implementazione, monitoraggio, resoconto e valutazione.
Quale percorso di studi, professionale e personale ti ha portato alle Nazioni Unite?
Mi sono laureato in Giurisprudenza nel 2016. All’epoca, ricordo di aver provato una sorta di insoddisfazione nel vedermi costretto nel percorso “naturale” dopo la laurea in studi giuridici. L’esperienza Erasmus in Spagna, dove ho studiato al mio quinto anno all’Universidad Carlos III de Madrid, aveva contribuito a consolidare il mio interesse verso il mondo degli affari internazionali, che avevo già iniziato a intravedere nei due anni in cui sono stato Director per le Attività Accademiche di ELSA Modena e Reggio Emilia (The European Law Students’ Association) e Director per l’ELSA Day e per due Legal Research Group presso ELSA Italia e National Coordinator per ELSA International. Quando mi sono reso conto che non volevo proseguire sul cammino di un laureato in Legge tradizionale, ho partecipato al concorso per il Dottorato in Scienze Giuridiche presso l’Università degli Studi di Parma (in convenzione con l’Università di Modena e Reggio Emilia). Ho vinto il posto con borsa in Filosofia del Diritto e ho quindi iniziato a lavorare al Centro di Ricerca Interdipartimentale su Discriminazioni e vulnerabilità (CRID) dell’Università di Modena.
Da tempo appassionato alle questioni relative ai diritti umani, la ricerca filosofico-giuridca mi ha portato a spingermi nuovamente verso la Spagna, firmando una convenzione di cotutela per lavorare ad un secondo programma di Dottorato, questa volta in Estudios Avanzados en Derechos Humanos, presso l’Universidad Carlos III de Madrid, dove ero stato in Erasmus. Il percorso di dottorato, diventato quindi internazionale, mi ha portato a vivere per qualche anno per metà del mio tempo in Italia e per l’altra metà in Spagna, dove collaboravo alle attività del già Instituto de Derechos Humanos “Bartolomé de las Casas” (ora: Gregorio Peces-Barba). Alla fine del Dottorato ho fatto un tirocinio presso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR) a Ginevra, lavorando con la sezione Anti-discriminazione razziale su temi come discriminazione e hate speech, il tema della mia tesi di dottorato. L’esperienza mi ha permesso di approfondire la mia conoscenza del tema, sul quale poi, concluso il Dottorato, ho pubblicato una parte della tesi in forma di monografia. Ho iniziato poi a lavorare come Project Specialist in un progetto europeo sui diritti delle persone con disabilità nella relativa Convenzione delle Nazioni Unite, presso il già Instituto de Derechos Humanos “Bartolomé de las Casas”. Dopo circa un anno, ho iniziato il mio JPO (Junior Professional Officer) a UNICEF, dove mi trovo tuttora.
Quanto conta l’esperienza personale oltre al curriculum accademico e professionale per una carriera nelle Nazioni Unite?
Ovviamente, il curriculum accademico e professionale è importante per trovare lavoro nel mondo della cooperazione internazionale e in particolare nelle organizzazioni internazionali. Tuttavia, credo che sia importante arricchire il proprio curriculum con esperienze di tipo diverso, che nel mio caso mi hanno permesso anche di rendere il mio approccio teorico alla ricerca più concreto, dandomi la possibilità di calarlo in ambito sociale, in particolare presso ONG e altre associazioni o enti di volontariato. Trattando questioni di diritti umani, penso sia imprescindibile, oltre a scrivere articoli, fare ricerca e studiare, essere presenti “sul campo”, nei movimenti che lottano ogni giorno per l’affermazione di quei diritti, attraverso attività di advocacy, organizzazione di eventi, attivismo online, eccetera. Per questo, negli anni dell’università e del Dottorato ho sempre tentato di conciliare l’attività professionale e accademica con esperienze di attivismo e volontariato. Sono stato attivista della Task Force Hate Speech di Amnesty International Italia, e attivista LGBTIQ+ presso Amnistía Internacional España. Dal punto di vista delle esperienze personali mi sento di dire che un percorso di preparazione fondamentale per accedere al mondo degli affari internazionali è quello che porta a vivere in altri paesi e a fare esperienze all’estero. Nel mio caso, per esempio, è ciò che ho tentato di fare con l’Erasmus, prima, il Dottorato internazionale, poi, nonché altri soggiorni di studio e ricerca, come per esempio quello che ho effettuato a Londra nel 2017 o a Ginevra nel 2019. Oltre a permettermi di conoscere altri luoghi e promuovere la mia cultural awareness, credo che queste esperienze siano state cruciali nel permettermi di perfezionare l’inglese e lo spagnolo e imparare il francese. Come tutti sanno, parlare più lingue è un requisito importante nel mondo degli affari internazionali.
Quali sono i dossier prioritari sulla tua scrivania ed in generale nell’agenda di UNICEF?
Al momento, UNICEF ha approvato il nuovo Strategic Plan 2022-2025, che ha conferito al settore della disabilità una rinnovata importanza, ancorandolo nell’alveo dei diritti umani e dello Human Rights Based Approach to Programming (HRBAP). Questo significa, per la mia Sezione, un incremento del lavoro, che svolgiamo con piacere e con l’obiettivo di fortificare l’ambito della disabilità e dei diritti umani all’interno dell’organizzazione. Personalmente mi sto occupando, tra le altre cose, del monitoraggio degli organi dei diritti umani per assicurare la comprensione e l’assimilazione delle ultime novità in tema di diritti umani delle persone con disabilità da parte dei nostri Focal Point sul campo in tutte le sette Regioni in cui lavora UNICEF (America Latina e Caraibi, Europa dell’Est e Asia Centrale, Medio Oriente e Nordafrica, Africa Occidentale e Centrale, Africa dell’Est e Meridionale, Asia Meridionale e Asia dell’Est e Pacifico). Inoltre, insieme con l’Ufficio Regionale di UNICEF in America Latina e Caraibi e con l’Inviata Speciale delle Nazioni Unite su Disabilità e Accessibilità, stiamo lavorando a delle consultazioni con bambini con disabilità per contribuire alla stesura di un manifesto sul bullying nel contesto scolastico.
Quanto impatto hanno le due crisi principali che stiamo affrontando, COVID-19 e cambiamento climatico, sul raggiungimento degli obiettivi inclusi nell’Agenda 2030 di cui la tua agenzia si occupa?
Ovviamente, trattandosi di un’organizzazione che opera a livello internazionale, l’agenda di UNICEF ha subito un forte impatto dovuto alla pandemia COVID-19. E con ciò mi riferisco non solo all’impatto sulle modalità di lavoro, con tutto ciò che ne consegue in tema di remote working per alcuni e di rischi aggravati di contrazione del virus per altri, soprattutto per chi lavora sul campo e opera in contesti come quelli umanitari o in campi per i rifugiati. Mi riferisco anche al fatto che il COVID-19 ha reso più difficile raggiungere i bambini nel mondo, soprattutto quelli che si trovano in situazioni più marginali e che sono vittime di discriminazioni multiple e intersezionali, come i bambini con disabilità. Nonostante ciò, UNICEF non ha cessato i propri sforzi per garantirne i diritti, raggiungendo risultati ugualmente elevati nonostante le difficoltà. Per esempio, nel 2020 UNICEF, tra le altre cose ha lavorato per implementare programmi di educazione inclusiva in 115 paesi, fornendo ai bambini con disabilità un supporto individuale per l’apprendimento a casa. Inoltre, ha lavorato per garantire che i servizi relativi alla distribuzione d’acqua e i servizi igienico-sanitari fossero inclusivi, raggiungendo circa 830.000 persone con disabilità in tutto il mondo. O pensiamo alle difficoltà aggravate per i bambini con disabilità che sono rimasti a casa durante le misure di lockdown: in questo caso, UNICEF ha raggiunto circa 53.000 bambini con disabilità con attività di supporto psicosociale.
Per quanto riguarda il cambiamento climatico, si tratta di una questione decisamente complicata, che influisce ancora di più sulle persone con disabilità, che purtroppo, a causa delle ineguaglianze del mondo, sono rappresentate in maniera sproporzionata nei settori più poveri della società. Sebbene manchino ancora 9 anni al termine per la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda 2030, non è luogo comune dire che il cambiamento climatico contribuirà a inasprire queste ineguaglianze nei prossimi anni.
Infine, che consigli ti senti di dare ad un giovane interessato ad una carriera nelle Nazioni Unite?
Fare rete. Il networking é importante. E networking non significa solo aggiungere potenziali datori di lavoro sui social network. Piuttosto, per come la vedo io, fare networking significa parlare con le persone, ascoltare le loro esperienze e prendere ispirazione. Nel mio caso, la persona che ero dieci anni fa non aveva la più pallida idea neanche dell’esistenza di certe possibilità e determinati percorsi, accademici e professionali ma anche di volontariato e attivismo. Parlare con le persone serve anche a questo: a scoprire quali sono le possibilità e a non chiudersi nella propria visione unilaterale delle cose. (@giorgiodelgallo)