ROMA, 19 FEBBRAIO – ‘Nati in emergenza’: si chiama così la nuova campagna di raccolta fondi lanciata da Medici senza Frontiere per le donne e i loro bambini che in tutto il mondo nascono in condizioni spesso drammatiche. Ogni due minuti – affema la Ong – nel mondo ”una delle nostre équipe aiuta una donna a far nascere un bambino, per un totale di 309.500 parti assistiti, secondo dati del 2018. La campagna terminerà il 7 marzo (sito www.msf.it/natiemergenza).
L’organizzazione elenca i progetti da sostenere con i fondi raccolti:
• L’ospedale di Khost in Afghanistan, che con 2.000 bambini nati ogni mese è il più prolifico dei centri di MSF,
• L’ospedale di Castor, a Bangui, in Repubblica Centrafricana, uno dei paesi con la mortalità infantile più alta,
• L’ospedale di Mocha in Yemen, costruito nel 2018 vicino alla linea del fronte per curare feriti di guerra e assistere i parti in emergenza;
• Il reparto di maternità di Mosul Ovest in Iraq, aperta nel 2017 per far fronte alla fuga di molti medici e paramedici;
• Il centro di salute materno-infantile nel campo rifugiati di Shatila in Libano, dove siriani, palestinesi, libanesi e altre comunità vivono in condizioni drammatiche;
• La clinica pediatrica fuori dal campo per migranti e rifugiati di Moria, sull’isola di Lesbo, dove donne e bambini vivono in uno stato di emergenza cronica e in un ciclo continuo di sofferenza umana.
LA TESTIMONIANZA
”Vediamo donne che arrivano per un parto di emergenza senza mai aver fatto un’ecografia durante tutta la gravidanza. Quando le adagiamo sulla barella non sappiamo se il bambino sia vivo o meno, in che posizione si trovi, e nemmeno della possibile presenza di gemelli. Abbiamo pochi minuti per raccogliere tutte le informazioni e capire cosa fare” scrive la ginecologa di MSF, Giorgia Sciotti.
Sono diversi i motivi per cui si nasce in emergenza, dai conflitti armati, che limitano gli spostamenti delle persone timorose di diventare bersaglio di attacchi aerei e combattimenti, a sistemi sanitari fragili o del tutto assenti, che costringono le donne incinte a partorire in casa, con ostetriche non adeguatamente formate. ”Dove non ci sono cure il nostro intervento indipendente può fare la differenza – continua la dottoressa – A volte le donne raggiungono un nostro ospedale dopo aver già partorito e in shock emorragico. Mentre cominciamo la corsa frenetica alla ricerca del sangue, ci capita di vedere che il cordone ombelicale è stato tagliato con pezzi di lamiera o vetro, con il rischio consistente di infezione da tetano. E così, a poche ore dalla nascita, un neonato può già combattere per la vita”.