GINEVRA, 3 NOVEMBRE – Basta ai conflitti di interesse in materia di nutrizione. Lo chiede la Rappresentanza Permanente dell’Italia presso le organizzazioni internazionali di Ginevra riportando che il Direttore del Dipartimento Nutrizione, Salute e Sviluppo dell’OMS, Francesco Branca, e la Direttrice per la Nutrizione della FAO, Anna Lartey, hanno di recente stigmatizzato l’azione avviata dall’Italia per promuovere la dieta mediterranea.
Il Dott. Branca ha chiesto all’Italia di fornire le “evidenze scientifiche alla base della sua politica a favore della dieta mediterranea”, mentre la Lartey ha suggerito all’Italia di avviare un dialogo sull’argomento “a livello scientifico e non più a livello politico-diplomatico” riferisce la Rappresentanza nel comunicato in in cui si fa notare che sia Branca che la Lartey “nonostante il loro status di funzionari internazionali, sono entrambi membri della EAT-Lancet Commission on Food, Planet and Health i cui princìpi e le cui politiche, come affermato dallo stesso Direttore Generale dell’OMS, Dott. Tedros, non riflettono le posizioni dell’Organizzazione Mondiale della Salute”. E’ per questo motivo che l’OMS ha revocato il proprio patrocinio in occasione della presentazione del controverso rapporto della EAT Lancet Commission Report dal titolo “Healthy Diets from Sustainable Food Systems” che è stato pubblicato all’inizio di quest’anno, ricorda la delegazione italiana
“Né il Dott. Branca, né la Prof.Lartey sembrano evidentemente aver tenuto conto della ferma presa posizione adottata in materia dal Governo né del pieno mandato che gli è stato conferito dal Parlamento di promuovere la dieta mediterranea in tutti i fori internazionali. Né l’uno né l’altra sembrano aver tenuto conto della circostanza che la dieta mediterranea é stata riconosciuta dall’UNESCO patrimonio immateriale dell’umanità e dalla comunità scientifica come una delle diete più sane del mondo”, replica la Rappresentanza a fronte delle richieste dei due funzionari. “Siamo fermamente convinti che né l’OMS né la FAO, né tanto meno i loro alti funzionari, dovrebbero avere a che fare con la EAT Lancet Commission, ciò al fine di evitare ogni possibile conflitto d’interesse suscettibile di arrecare danno alla reputazione delle due Organizzazioni Internazionali”, afferma la delegazione italiana a Ginevra illustrandone di seguito le ragioni.
Cosa è il rapporto “EAT-Lancet”?
L’iniziativa EAT si qualifica come una “startup no-profit” dedicata alla trasformazione del sistema alimentare mondiale attraverso “science, impatient disruption and novel partnership”. Il rapporto auspica la transizione verso un nuovo sistema globalizzato di produzione e consumo del cibo, auspicando un controllo centralizzato delle nostre scelte alimentari. Nel reintrodurre e rafforzare la distinzione controversa e non scientifica tra cibi “salubri e dannosi”, la Commissione EAT-Lancet descrive gli elementi caratterizzanti di una “dieta sana universale di riferimento”, basata su un incremento a livello mondiale della produzione e del consumo dei cibi ritenuti “salubri” (frutta, verdura, cereali integrali, legumi e frutta secca) ed una drastica riduzione, o totale eliminazione, del consumo dei cibi ritenuti dannosi (in particolare di carne rossa, di cui viene consigliato un consumo medio giornaliero di appena 14 grammi, ma anche di carne bianca, di zuccheri e cereali raffinati).
Chi ha redatto il rapporto?
Il rapporto EAT-Lancet è stato prodotto da una Commissione formata da 37 membri, che partecipano in qualità di esperti indipendenti.
Tuttavia diverse critiche sono state mosse all’effettiva indipendenza della Commissione, alla luce dei collegamenti dell’iniziativa in parola con importanti organizzazioni finanziarie ed economiche: EAT-Forum è stato fondato dalla Fondazione Stordalen, finanziata, tra gli altri, dal Wellcome Trust. Un importante partenariato di EAT-Forum è stato istituito con FReSH (Food Reform for Sustainability and Health), una delle principali iniziative del World Business Council for Sustainable Development (WBCSD), che raggruppa alcune delle più grandi multinazionali nei settori alimentare, farmaceutico, chimico e del bio-tech.
Lo stesso rapporto EAT-Lancet riconosce espressamente il finanziamento da parte del Wellcome Trust, ivi incluso il sostegno finanziario al segretariato per il coordinamento del lavoro della Commissione e per le spese di viaggio, vitto ed alloggio dei suoi membri in occasione dei relativi incontri, e conferma che tutti gli autori hanno ricevuto finanziamenti da EAT e dal Wellcome Trust.
La Commissione include tra i suoi membri anche funzionari di alto livello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO).
Qual è l’obiettivo della Commissione EAT-Lancet?
La Commissione, attraverso il suo rapporto, intende promuovere una trasformazione radicale delle modalità di produzione e di consumo del cibo, basata su una “dieta salutare globale di riferimento”, afferma la Rappresentanza Essa è stata tuttavia oggetto di numerose critiche, anche semplicemente dal punto di vista nutrizionale: diversi nutrizionisti hanno sottolineato come la “dieta di riferimento” tratteggiata dalla Commissione risulterebbe essere fortemente deficitaria di ferro, vitamina B12, retinolo, vitamina D3, vitamina K2 e sodio.
Una dieta standard per l’intero pianeta, senza tenere in considerazione l’età, il sesso, il metabolismo, lo stato generale di salute e le abitudini alimentari di ciascun individuo, non trova alcuna giustificazione scientifica. Inoltre, implicherebbe la distruzione di diete salutari e tradizionali millenarie, che sono parte del patrimonio culturale e dell’impianto sociale di molti Paesi.
Come si intende raggiungere questo obiettivo?
La Commissione identifica diverse gradazioni di intervento pubblico per “cambiare il sistema alimentare globale”, che spaziano da misure più morbide (come l’“educazione” del pubblico attraverso campagne di informazione di massa) a misure più drastiche, che includono l’adozione di incentivi per alcune categorie di prodotti alimentari identificati come “sani”, l’adozione di disincentivi per le altre categorie merceologiche, la restrizione della libertà di scelta da parte del consumatore e, da ultimo,la TOTALE eliminazione della libertà di scelta da parte del consumatore. Il rapporto della Commissione afferma che – in tale ultima fase – l’industria alimentare dovrebbe semplicemente ritirare dal commercio i prodotti “inappropriati” e diversificare il proprio business.
La Commissione suggerisce, per i policy makers, di non limitare lo spettro di interventi a disposizione: nel rapporto, afferma che “countries and authorities should not restrict themselves to narrow measures or soft interventions. Too often policy remains at the soft end of the policy ladder”.
Che conseguenze avrebbero le raccomandazioni della EAT-Lancet Commission?
È difficile valutare le conseguenze sulla salute pubblica ma è stato già sottolineato da molti come il regime alimentare suggerito dalla Commissione sarebbe fortemente deficitario dal punto di vista nutrizionale e, pertanto, potenzialmente dannoso, nel lungo periodo, per la salute umana.
Appaiono invece chiare le conseguenze di una simile “transizione” dal punto di vista economico: la “rivoluzione” del sistema alimentare auspicata dalla Commissione EAT-Lancet condurrebbe ad una fase di depressione economica, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. L’Italia all’Onu di Ginevra raccomanda la lettura delle dichiarazioni del Ministro dell’Agricoltura dell’Etiopia sul tema, che conclude affermando “My hope is that the report, given the attention it’s receiving, can provide an opening for a more productive exchange on the role of livestock in the developing world. In fact, I’d like to invite you to take a drive in the Ethiopian countryside. You will see a world where livestock are not part of the problem. They are part of the solution. It’s a much larger, more complex and promising world than the one depicted in the report.” La totale o quasi totale eliminazione degli alimenti di origine animale (in particolare carne e prodotti dell’industria casearia) significherebbe la fine dell’allevamento bovino e di diverse altre attività correlate alla produzione di carne. Inoltre, tutte le imprese che producono alimenti o bevande che gli autori del rapporto classificano impropriamente come “insalubri” sarebbero costretti a ritirare tali prodotti dal mercato e a diversificare il loro business. Tali sconvolgimenti interesserebbero tutti i produttori di carne, latte, formaggi, dolci e diversi altri alimenti, con conseguenze drammatiche per l’economia di molti Paesi, ivi inclusa la perdita di milioni di posti di lavoro e la morte di migliaia di piccole e medie imprese, anche nei Paesi in via di sviluppo. (@OnuItalia)