NEW YORK, 14 DICEMBRE – Il 14 dicembre di 67 anni fa l’Italia entrava a far parte delle Nazioni Unite. “Oggi come ogni giorno, rinnoviamo l’impegno per un mondo di pace e sicurezza, diritti umani e sviluppo sostenibile, per non lasciare nessuno indietro”, afferma la Rappresentanza Permanente italiana in un messaggio su Twitter.
Furono ammessi allora, oltre all’Italia, Albania, Austria, Bulgaria, Cambogia, Finlandia, Giordania, Irlanda, Italia, Laos, Libia, Nepal, Portogallo, Romania, Spagna, Sri Lanka (all’epoca Ceylon) e Ungheria, e i membri dell’Onu da 60 che erano salirono a 76.
Per l’Italia l’ingresso all’Onu arrivo’ al termine di un percorso diplomatico decennale. Dieci anni di anticamera prima che l’Urss alla fine ritirasse il veto opposto fino a quel momento, e dunque, con il “si” unanime del Consiglio di Sicurezza e poi dell’Assemblea Generale, l’Italia entro’ alle Nazioni Unite grazie a un compromesso raggiunto col Cremlino che tra i nuovi 16 membri ci fossero alcune nazioni balcaniche “satelliti” di Mosca. Gli Occidentali restarono fermi sull’esclusione della Mongolia, l’Urss su quella del Giappone.
L’accordo suggello’ un nuovo clima di coesistenza pacifica e di disgelo Est-Ovest dopo la morte di Stalin nel 1953 al termine di un anno contrassegnato dalla firma del trattato di pace tra Austria e potenze vincitrici della seconda guerra mondiale in cui veniva sancita la neutralita’ di Vienna. Altro momento importante della distensione era stato nel luglio di quell’anno a Ginevra la Conferenza dei Quattro Grandi (Usa-Urss-Francia-GB).
L’odissea dell’ammissione italiana e’ stata ricostruita sulla base di diari, documenti ufficiali, carteggi diplomatici in un saggio di Francesco Perfetti sul sito della SIOI. Per l’Italia era stato cruciale la visita a Washington nel marzo di quell’anno del presidente del Consiglio Mario Scelba e del ministro degli esteri Gaetano Martino. Sul piano interno c’erano i riflessi del disgelo internazionale con un Pci più accomodante e meno oltranzista che allontanava il leader degli intransigenti Pietro Secchia dalla direzione e metteva al suo posto Giorgio Amendola. I comunisti contribuirono inoltre alla eterogenea maggioranza composta anche da Dc, Psi, Msi e parte della destra monarchica che avrebbe eletto Giuseppe Gronchi al Quirinale.
Dieci anni di attesa e cinque “niet” sovietici
Spiegava Francesco Paolo Fulci, Rappresentante Permanente d’Italia all’Onu tra 1993 e 1999: “Non si vollero tenere in alcuna considerazione i due anni di ‘cobelligeranza’ dell’Italia a fianco degli Alleati, nel 1943-45, dopo l’armistizio di Cassibile del settembre 1943; si preferì dimenticare che, nella Società delle Nazioni, l’Italia aveva occupato una posizione di assoluta preminenza, quale ‘membro permanente’ del Consiglio sin dalla sua istituzione, assieme ai vincitori della prima guerra mondiale; ma, cosa ancor più grave, si mortificò l’anelito della risorta democrazia italiana ansiosa di ottenere dalla comunità internazionale il riconoscimento che la pagina del fascismo, della guerra e dell’isolamento fosse stata definitivamente voltata”.
Il primo aprile 1950 l’Italia assunse su mandato Onu l’amministrazione fiduciaria della Somalia. E tuttavia le porte dell’Onu continuarono a restare chiusi tra no di Mosca e note di protesta del governo di Roma. Ma il negoziato continuava. Alla fine, su raccomandazione del Consiglio di Sicurezza, la risoluzione 995 (X) fu votata su due piedi dall’Assemblea Generale, senza consultare i governi, riferì al Ministero degli Esteri il rappresentante diplomatico italiano Alberico Casardi secondo cui il problema era “entrato effettivamente in una nuova fase decisiva dal momento in cui gli americani” avevano accettato “di non opporsi ai satelliti” dell’Urss.