ROMA, 16 FEBBRAIO – La produzione nell’impianto siderurgico Ilva di Taranto ha compromesso la salute dei cittadini e violato i diritti umani per decenni, provocando un grave inquinamento atmosferico.
I residenti che vivono nelle vicinanze dell’impianto ”soffrono di malattie respiratorie, cardiache, cancro, disturbi neurologici e mortalità prematura”. Lo scrive il Relatore speciale delle Nazioni Unite sugli obblighi in materia di diritti umani relativi al godimento di un ambiente sicuro, pulito e sostenibile, David R. Boyd, d’intesa con il Relatore speciale Marcos Orellana sulle implicazioni per i diritti umani della gestione e lo smaltimento di sostanze e rifiuti pericolosi, nel rapporto annuale intitolato ”The right to a clean, healthy and sustainable environment: non-toxic environment”.
Il rapporto è stato pubblicato e approvato dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu il 12 gennaio 2022.
Tra i luoghi più degradati in Europa occidentale, i Relatori hanno individuato proprio la zona dell’Ilva di Taranto che si trova nella stessa situazione di zone come quella di Quintero-Puchuncavi in Cile, Bor in Serbia e Pata Rat in Romania.
Il diritto a un ambiente salubre – Boyd – può essere garantito solo se si limita l’utilizzo di sostanze tossiche che colpiscono le persone più vulnerabili. Così, evidentemente non accade a Taranto dove le operazioni di pulizia e bonifica dovevano iniziare nel 2021 ma sono state rinviate al 2023, con azioni dei diversi governi che permettono all’impianto di funzionare non tenendo conto neanche della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo con la quale l’Italia, nel 2019, è stata condannata per aver violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare di alcuni cittadini. Nel rapporto si chiedono agli Stati interventi che portino a un inquinamento zero per impedire non solo il deterioramento dell’ambiente, ma anche gravi diseguaglianze sociali che portano a zone del mondo in cui diritti, come quello alla salute, sono compromessi proprio a causa del degrado ambientale e della presenza di siti contaminati in comunità svantaggiate. L’8 ottobre 2021 il Consiglio per i diritti umani ha adottato una risoluzione nella quale, per la prima volta, si riconosce a livello globale il diritto umano a vivere in un ambiente pulito, sano e sostenibile.
Se è vero che ben l’80% degli Stati membri delle Nazioni Unite ha leggi che riconoscono tale diritto, è anche vero che la risoluzione punta all’introduzione del diritto all’ambiente nelle costituzioni nazionali. Il rapporto, che contiene numerose raccomandazioni agli Stati, ha tenuto conto anche delle osservazioni fornite da diversi Paese (non l’Italia che non ha risposto alla call di gennaio 2021).