GINEVRA/ROMA, 16 GIUGNO – Dieci anni dopo l’adozione della storica Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) che ha riaffermato i loro diritti, colf e badanti lottano ancora per essere riconosciuti come lavoratori e prestatori di servizi essenziali. Secondo un nuovo rapporto dell’OIL, per molti di loro inoltre le condizioni sono peggiorate a causa della pandemia da COVID-19.
Durante la fase più critica della crisi, la perdita di lavoro tra i lavoratori domestici si attestava tra il 5 e il 20 per cento nella maggior parte dei paesi europei, così come in Canada e in Sudafrica. Nelle Americhe, la situazione e’ stata addirittura peggiore, con perdite di lavoro comprese tra il 25 e il 50 per cento. Nello stesso periodo, le perdite di lavoro per gli altri lavoratori sono state inferiori al 15 per cento nella maggior parte dei paesi.
Il rapporto evidenzia che circa 75,6 milioni di lavoratrici e lavoratori domestici nel mondo (il 4,5% dei lavoratori dipendenti in tutto il mondo) sono stati particolarmente colpiti dagli effetti della crisi, così come le famiglie che si affidano a questi lavoratori per soddisfare le esigenze quotidiane di assistenza e di cura. “La crisi ha evidenziato la necessità di formalizzare il lavoro domestico per garantire un lavoro dignitoso a questi lavoratori e lavoratrici, a partire dall’estensione a tutte le lavoratrici e i lavoratori domestici della legislazione sul lavoro e della sicurezza sociale e dalla loro effettiva applicazione”, ha affermato il Direttore Generale dell’OIL, Guy Ryder.
In Italia l’Osservatorio nazionale DOMINA sul lavoro domestico ha riscontrato che negli ultimi vent’anni la presenza di stranieri, soprattutto donne, ha rappresentato un bacino molto importante per il settore. In particolare, la componente più numerosa è quella dell’Est Europa, tanto che ad oggi i lavoratori di quell’area rappresentano il 30,4% tra i collaboratori familiari (colf) e il 52,2% tra gli assistenti familiari (badanti).
Oltre a rappresentare un fenomeno economico (per molti Paesi le rimesse rappresentano una fonte importante: sfiora il 16% del PIL la Moldavia, mentre superano il 10% Georgia, Senegal e Ucraina), la vasta presenza di lavoratori domestici stranieri in Italia ha importanti ricadute sociali. DOMINA punta i riflettori sull’emigrazione di donne sole, disponibili a lavorare presso l’abitazione di anziani e non autosufficienti che ha determinato nei Paesi d’origine il fenomeno dei cosiddetti “orfani bianchi” – sarebbero almeno 350mila in Romania e 100mila in Moldavia – oltre che sugli effetti sulla psiche delle lavoratrici, lontane dai propri affetti e a stretto contatto con situazioni di malattia e sofferenza. Lo stress e la privazione di relazioni affettive contribuiscono a sviluppare una forma di depressione nota col nome di “Sindrome Italia”, che si traduce in disturbi d’ansia, attacchi di panico, insonnia e depressione, spesso al ritorno in patria.
“Orfani bianchi e Sindrome Italia sono due facce della stessa medaglia, il prodotto di un’emigrazione dettata da una crisi economica e da una mancanza di welfare che obbliga le famiglie a dividersi per garantire una vita dignitosa ai figli”, afferma DOMINA osservando che “e’ importante che i lavoratori e le lavoratrici mantengano un legame con la propria famiglia d’origine e soprattutto con i propri figli, anche attraverso le nuove tecnologie”. (@OnuItalia)