ROMA, 25 FEBBRAIO – ‘‘Back from the field – Racconto dopo la missione”: è la seconda puntata del racconto che una giovane ostetrica italiana che lavora con Medici senza Frontiere fa del suo impegno nello Yemen devastato da anni di guerra. Non un’intervista a Giulia Maistrelli, ostetrica MSF, appena rientrata dal paese arabo, ma il racconto dal vivo affidato a suo blog, sorta di diario di viaggio per raccontare come è possibile garantire alle donne un parto sicuro in un paese in guerra, dove le strade sono pericolose e gli ospedali spesso troppo distanti, o finiti sotto le bombe.
Ecco le parole con cui Giulia racconta del suo viaggio nel deserto a bordo della jeep MSF. Un viaggio necessario per supportare le tante ostetriche yemenite che rischiano la vita ogni giorno per proteggere altre donne
“Sulla stessa strada viaggiano per ore militari feriti, bambini malnutriti, anziani ammalati e tantissime donne che cercano di raggiungere un ospedale per partorire se i tentativi nel villaggio falliscono. Con il cuore in gola per la paura e la pancia piena di speranza si lanciano sulla strada costellata di pericoli dopo giorni di travaglio, accompagnate dalle coraggiose ostetriche yemenite.
Il viaggio verso il fronte nord – sulla strada da Moka a Hodeida, costa Ovest dello Yemen – è ironicamente allegro, oggi. Mentre attraversiamo il deserto per quasi 5 ore a bordo del nostro pick up bianco, l’autista Ryad suona note intense di musica elettronica arabeggiante; i bassi fanno vibrare i finestrini mentre lui scuote la testa felice seguendo il ritmo e io perdo il filo del discorso che mi sto preparando.
Ho un incontro importante con Eman, coordinatrice di tutte le ostetriche e levatrici della provincia di Hodeida: se questo incontro andrà bene potremo iniziare ad offrire corsi sulla gestione delle emergenze ostetriche e qualche donazione di materiale medico alle piccole cliniche della zona dove avvengono tutte le nascite perché andare in un ospedale è troppo pericoloso.
Guardo fuori dal finestrino: il contrasto fra la nostra discoteca su ruote e il paesaggio circostante è disarmante. La linea dell’asfalto dissestato si fonde all’orizzonte come un lago nero e tutto intorno un’inquietante sensazione di armonia: arbusti spinosi e dune di sabbia a perdita d’occhio, niente che possa offendere l’occhio con i suoi colori pastello e i contorni sfocati dal calore”.
”Anche le macchine esplose ai lati della strada non disturbano l’immagine – continua il racconto di Giulia – Al contrario, donano un senso di intensità che serve a ricordare che sotto la perfezione delle forme di sabbia giace un esercito insidioso di mine dimenticate, che ogni tanto ricompaiono trascinate dal vento.
Piccoli villaggi fatti di casette di pietra bianca, rifugi senza finestre né porte da dove sbuca lentamente la pancia prominente di un vecchio imbronciato completano il panorama con grazia.
I bambini in tuta mimetica che comandano i posti di blocco, con pupille dilatate e enormi armi automatiche sulle spalle, schioccano la lingua divertiti in segno di approvazione per farci passare, una volta appurata la nostra identità”.
La strada yemenita
”Sembra un paesaggio surreale disegnato da un cinico architetto, la cui arte dipinge la realtà senza trucco, lasciandola in piena vista per provocare lo spettatore. Ha sorpreso la strada yemenita la mattina presto con gli occhi stropicciati dal sonno.
Lei gli lascia osservare senza pudore le linee che il cuscino le ha lasciato sulle guance, con un senso di solennità che le si addice. È seria e silenziosa, non sorride per rispetto delle migliaia di vite che ha visto finire sulla sua schiena stanca. Testimone di migliaia di storie, invecchiata e ingiallita a causa di tutto il sangue che ha assorbito.
Generali di molti eserciti l’hanno cavalcata per raggiungere il fronte, elaborando eccitati strategie e pregustando l’adrenalina del campo di battaglia.
Ha nutrito serpenti e avvoltoi con le innumerevoli carcasse dei muli disidratati, continuando il ciclo della vita nel deserto; ha accolto come una madre le anime esauste dei migranti somali che camminano scalzi ai suoi lati, e anche quando svengono per la fatica non smette di dare speranza con il suo lungo dito nero rivolto al futuro.
È stata allagata delle lacrime di tutti gli insegnanti, contadini e poeti che hanno sognato un futuro migliore per la loro gente e non ne ha sprecato una sola goccia, pienamente consapevole del loro potere”.
Donne in viaggio
”Quando le donne raggiungono l’ospedale di Moka (l’unico centro chirurgico di emergenza nel raggio di 200km, per una popolazione di mezzo milione di abitanti) spesse volte ormai è troppo tardi per il bambino e ci sono complicanze come emorragie, rotture d’utero e fistula per le mamme sono tuttaltro che rare.
Nella città di AlKhokha, conosco finalmente Eman: fin dalla prima stretta di mano capisco che sarà una preziosa alleata. Eman è una donna orgogliosa, tanta la sua fierezza che oltrepassa la barriera del velo che porta davanti al viso e lascia scoperti solo gli occhi. Senza tanti preamboli mi spiega di cosa c’è bisogno: vuole formazione per le sue ostetriche e levatrici, che sono sole a gestire le situazioni più complicate in località remote, vuole medicine e materiale per la rianimazione neonatale.
Mi racconta di tutti i problemi delle nostre colleghe, che lavorano senza salario senza attrezzature di emergenza né farmaci, assistendo i parti a casa. La notte non possono spostarsi per ragioni di sicurezza e anche durante il giorno il pericolo di essere colpite da bombe e proiettili volanti è sempre presente. Dopo qualche negoziazione ci accordiamo su un piano per organizzare il corso e richiedere le donazioni”.
Conclude Giulia: ”È un onore che mi sia permesso di contribuire a connettere fra loro le sorelle yemenite che rischiano la propria vita ogni giorno per proteggere altre donne, non è scontato in un contesto politico così complesso”.