(di Pragyaa Rai)
JUMLA (NEPAL), 27 MAGGIO – Sapana Buda è una donna di 33 anni originaria di Ripi, un villaggio nel distretto di Jumla nel Nepal occidentale, che ricorda com’era stare in una stalla con le mucche, ogni volta che aveva le mestruazioni. L’ha sempre fatto, a partire dalla sua prima volta quando aveva 13 anni: quanto fosse spaventata durante quei giorni e quelle notti, ma non ha mai osato mettere in discussione la tradizione. Con il passare degli anni è semplicemente diventato normale per lei, visto che tutte le sue amiche e parenti femmine osservavano lo stesso rituale: la chaupadi.
“Ora capisco come la mia migliore amica abbia potuto morire mentre dormiva nel chaugoth (capanna delle mestruazioni),” dice Sapana a APEIRON, un’organizzazione non profit con sede sia in Nepal che in Italia, composta prevalentemente da donne, che lavora per la parità di genere nella società nepalese.
Ogni anno, almeno una nepalese muore durante il periodo di esilio nella capanna. La messa al bando delle donne che la chaupadi impone è l’espressione di un’imposizione patriarcale inflitta all’individuo di sesso femminile: la donna è impura, peccatrice, un essere umano di seconda classe privato di ogni dignità. La pratica sociale e’ fortemente sostenuta e praticata dalle comunità rurali dell’estremo occidente del Nepal, soprattutto dalle stesse donne che sono nate all’interno di quel sistema di credenze.
Durante la rivolta maoista che vide il partito comunista nepalese scontrarsi con il governo dal 1996 al 2006, molte delle capanne per le mestruazioni furono distrutte, per esprimere il forte desiderio di cambiamento sociale. Nel 2005, inoltre, il governo nepalese ha proibito ufficialmente la chaupadi, eppure, solo nel 2007, sono stati tre i casi di donne e ragazze morte nelle capanne. Si è parlato molto di questi incidenti, spingendo così il governo a dichiarare criminale ogni azione che forzasse le donne all’esilio durante le mestruazioni. Nonostante la severità della disposizione legale, però, la chaupadi ha continuato ad essere una pratica diffusa. Nel tentativo di fermare il fenomeno, il governo nepalese insieme con alcune organizzazioni non governative (ONG), ha progettato alcune campagne di contrasto che prevedevano la distruzione delle capanne e dichiarato i villaggi “liberi dalla chaupadi”. La risposta a questi provvedimenti è stata la ricostruzione delle capanne e l’esilio di nuovo presente nella vita delle donne nepalesi.
Nel 2016, Durga Rokaya, una ragazza di 15 anni, ha partecipato a un progetto di tre settimane orientato alla consapevolezza sulla pratica della chaupadi. Durga ha confessato in seguito: “Ho capito che è una pratica sbagliata, ma ho anche paura di far arrabbiare la Devi, la dea, con me e la mia famiglia.”
Il governo e le ONG hanno messo in campo molte forze negli anni per cercare di diffondere la conoscenza dei pericoli della chaupadi. Se non hanno eliminato il problema, le azioni pianificate hanno però avuto il merito di portare l’attenzione sul tema e creare pressione per ottenere politiche di contrasto più efficaci e un sistema di controllo che le facesse rispettare. Hanno, inoltre, conquistato spazio in favore dei diritti umani e delle donne.
Tuttavia, le donne hanno continuato a morire nelle baracche. Nel gennaio 2019, Amba Bohora e i suoi due figli sono morti a causa dei fumi tossici inalati: avevano acceso un fuoco per scaldarsi. Poco più tardi, nello stesso mese, anche Pravati Bogati ha perso la vita nello stesso modo. Cosa stiamo continuando a sbagliare?
Un villaggio libero dalla chaupadi
Nel 2017 Sapana e altre quarantasette donne del villaggio di Ripi si sono unite in gruppo per partecipare a un progetto sullo sviluppo delle economie di sussistenza supportato da APEIRON. Oltre a impartire nozioni tecniche sui metodi tradizionali di coltivazione dei fagioli e dell’allevamento delle capre, il progetto prevedeva incontri mensili con i gruppi per discutere di temi proposti dalle donne stesse. Il tema più ricorrente era l’igiene nel periodo mestruale.
Durante questi incontri, le donne riunite discutevano anche delle difficoltà e dei traumi che la chaupadi aveva provocato in loro. Confrontandosi sui benefici ottenuti dalla pratica e sui danni che avevano invece subito, hanno fatto un bilancio dell’effetto che quel rituale aveva avuto nelle loro vite: il risultato è stato fortemente negativo. Il gruppo ha deciso quindi di dichiarare il villaggio libero dalla chaupadi, organizzando un evento a cui sarebbero state invitate le autorità locali e gli abitanti dei villaggi vicini.
L’evento si è svolto nella prima settimana di maggio 2019, presieduto dal vicepresidente della municipalità locale e altre autorità locali. Un nuovo inizio per il villaggio è stato segnato da questa giornata e dal canto di allegre canzoni deuda sulle conseguenze della chaupadi, scritte dalle stesse autrici di questo importante cambiamento.
Quale è stato il percorso?
Il progetto, implementato da APEIRON con la Surya Social Service Society, non era stato inizialmente pensato per combattere la chaupadi nel distretto di Jumla. Il focus del progetto era infatti di fornire un supporto tecnico alle attività contadine tradizionali, ma con una prospettiva attenta al genere. Ciò significa che le contadine erano incoraggiate a partecipare ed erano stato loro stesse a organizzare gli incontri mensili. Questo avveniva nel 2017.
Un anno dopo, un’indagine condotta nel villaggio ha rilevato che le 48 famiglie che avevano partecipato alla formazione avevano aumentato il loro reddito fino a un incredibile 95%, proprio in seguito alle azioni portate avanti attraverso il progetto. La trentacinquenne Jalu Raut era ben conscia di cosa questo volesse dire:
“Ora posso decidere come spendere i soldi che ho guadagnato. Non devo chiedere a mio marito o ai suoi genitori il denaro per mandare i miei figli a scuola“ e aggiunge, “Adesso mio marito mi chiede anche di non andare nella capanna durante le mestruazioni. Mi chiede di rimanere a casa.”
Un’azione diversa
Ci deve essere una stretta correlazione tra l’aumento del reddito di una donna e la sua fiducia in se stessa per combattere un rituale radicato come quello della chaupadi. L’indipendenza economica mette la donna nelle condizioni di essere trattata come pari nelle scelte famigliari e questo bilanciamento di potere all’interno delle mura domestiche si riflette nella società, con una maggiore parità di genere.
Un problema sociale non può essere esaminato come elemento a sé stante: l’isolamento delle donne durante la mestruazione è una parte del problema. Di conseguenza, distruggere le capanne non risolverà la situazione e la sola conoscenza degli effetti del fenomeno non aiuterà queste donne a uscirne.
La chaupadi deve essere studiata più da vicino e i programmi governativi e delle ONG devono unire i punti che collegano lo status socioeconomico della donna in casa e nella società con gli abusi radicati come la chaupadi.
Queste donne hanno sofferto abbastanza, ma la soluzione non può essere cercata all’esterno. Hanno sopportato l’esilio, non perché fossero inconsapevoli delle conseguenze, ma perché non possedevano gli strumenti per opporsi. Ora forse abbiamo qualche elemento in più per spingerci a considerare l’empowerment economico delle donne un mezzo potente che può dar loro la forza di liberarsi della chaupadi. E’ il 2019. E’ il #tempodiagire, ma di agire diversamente. (@ApeironOnlus)