ROMA, 19 GENNAIO – Il ‘Diario da Gerusalemme’ di Maurizio Debanne, capo ufficio stampa di Medici senza Frontiere, prosegue con storie di figlie e di madri, di vita e di morte che a Gaza si ‘danno il cambio’, magari pr pochi minuti. Ecco la seconda parte che ci ha inviato.
”Malak aveva 5 anni. Sfollata a causa della guerra, viveva in un nostro rifugio nel sud della Striscia di Gaza, insieme a 100 persone tra personale MSF e le loro famiglie. Il rifugio era una sala per matrimoni, situato in un’area non sottoposta a evacuazione. In un luogo dove fino a qualche mese fa si cantava e si festeggiava, Malak è stata uccisa da una granata che ha sfondato il muro dell’edificio, attraversato la sala, uscendo infine dal lato opposto. In ospedale si è provato di tutto per salvarle la vita. Le prime notizie erano già difficili da accettare, amputazione di entrambe le gambe. Ma in realtà l’intervento chirurgico non è bastato a rimediare alle ferite. Vi lascio immaginare la rabbia, l’impotenza. Suo padre lavora con noi da tanti anni.
Questa guerra ha tolto la vita anche a chi questa vita non la conosceva. Il figlio di Maha, una nostra paziente, è nato e morto in poco tempo. Maha viene dal nord della Striscia di Gaza, sfollata e incinta ha cercato un ospedale quando ha sentito che il travaglio stava iniziando, ma erano tutti pieni. Non c’era nessun posto per lei. Sentiva che qualcosa non andava, che doveva essere ricoverata. Aveva già avuto un parto cesareo, ma non avendo altra scelta, è tornata nella sua tenda. Suo figlio ha respirato il mondo per trovare la morte nelle latrine di un campo. Maha oggi riceve le cure post-parto da un nostro team. Pascale, la collega che coordina le attività in ospedale, ci ha detto che Maha ha bisogno di esprimere il suo profondo dolore a tutti noi. Ha bisogno di gridare, di far conoscere l’ingiustizia che ha vissuto. Senza questa guerra, non avrebbe perso suo figlio. Con questa guerra, abbiamo perso tutti…..
…Dagli alloggi MSF ci sono due strade per raggiungere l’ufficio. Una, la più semplice da memorizzare, è prendere il viale principale, dove passa il tram che va a sud verso la città vecchia e Gerusalemme ovest e verso nord raggiunge Pisgat Ze’ev, un insediamento israeliano. Immaginati una grande strada piena di piccoli negozi, sopratutto di generi alimentari. Questa è la strada che ho fatto i primi giorni, sbirciando i negozi, cercando quello che mi ispirava di più per fare la spesa. Frutta e verdura regalano un caleidoscopio di colori, dal rosso delle fragole di Gerico alle nuance delle spezie che catturano i sensi. E poi c’è l’altra strada, quella che con Louis, mio collega anche se ormai è più giusto dire amico, abbiamo chiamato le chemin des oliviers. Un sentiero che passa per il vecchio villaggio di Shu’afat, dove gli alberi di ulivo fanno da cornice alle case costruite con la pietra di Gerusalemme. A metà strada si passa di fronte a una scuola elementare e al mattino il chiasso dei bambini mi infonde un senso di tranquillità e normalità. Gerusalemme è tutto un sali e scendi di colline e, dal punto più alto di questa strada, nelle giornate di sole, si vede Ramallah.
Una cosa accomuna le due strade: in entrambi i casi ci vogliono 15 minuti di cammino, il che mi assicura almeno 30 minuti di camminata al giorno. In 30 minuti, a Gaza, una donna che ha partorito naturalmente deve lasciare il suo letto d’ospedale per fare posto alle nuove partorienti. Quando la lista d’attesa non è lunga, le dimissioni avvengono dopo 2 ore. Per il cesareo, le donne devono lasciare l’ospedale dopo solo 2 ore nei giorni più caotici, ma comunque mai oltre le 6. E questo perché a Gaza solo 13 dei 36 ospedali sono ancora parzialmente funzionanti. Ogni giorno, quando cammino per andare in ufficio, non faccio altro che pensare a quanto possano valere 30 minuti”.