ROMA, 23 OTTOBRE – Un’altalena di sentimenti, il racconto delle giornate, quello dei compagni di detenzione, gli scacchi fatti dai detenuti con il sapone, la prigionia sviscerata con qualche pudore ma con la forza di chi descrive le cose vere: il libro di Patrick Zaki “Sogni e illusioni di libertà. La mia storia” per La Nave di Teseo – presentato venerdì al Teatro Manzoni di Roma, racconta del giovane attivista egiziano più di qualunque intervista.
Zaki, arrestato dalle autorità egiziane subito dopo essere atterrato all’aeroporto del Cairo nel febbraio del 2020 era studente all’Università di Bologna. Secondo i servizi segreti del Cairo il ragazzo era colpevole di propaganda anti egiziana, sostegno al terrorismo, sovversione e altri reati per i quali la sua prigionia si è nei fatti protratta fino alla fine del 2021 per poi, dopo alcune temporanee sospensioni, arrivare – in libertà ma non libero – alla concessione della grazia del presidente egiziano al Sisi, nel luglio di quest’anno, nonostante una condanna definitiva a tre anni.
Sul palco del teatro Manzoni, accanto al portavoce di Amnesty International, Riccardo Noury, e al presidente dell’associazione ‘A buon diritto’, l’ex senatore Luigi Manconi – moderati da Carlo Bonini di Repubblica – Zaki ha innanzitutto voluto ribadire di essere un difensore dei diritti umani e di aver tratto dalla sua vicenda con chiarezza l’idea che un’esperienza come la sua è servita a rafforzare ancora – ove ve ne fosse bisogno- questo suo impegno, anche per il raggiungimento della pace. Può sembrare ingenuo in questo momento, ma non ci sono altre vie, ha precisato, aggiungendo di essere consapevole che la mobilitazione dell’Italia per la sua liberazione, i cui echi comunque gli arrivavano sino in cella, ”gli ha salvato la vita”.
”Romanzo di formazione” l’ha definito Manconi, che ”segna il passaggio all’età adulta” e che assomiglia molto a quella ”letteratura carceraria” che ha caratterizzato la formazione di molti nostri padri della patria, e dunque della Costituzione, che uscivano dal fascismo e dalla dittatura. Nel libro c’è una curiosa circostanza secondo Manconi che dimostra come la vicenda di Zaki per certi versi si incrocia con quella ancora più drammatica di Giulio Regeni. Ad un certo punto della sua detenzione i compagni di prigionia lo chiamavano Giulio, evidentemente operando una sorta di sovrapposizione tra Regeni e Zaki, che ”rappresentano una generazione di giovani colti, cosmopoliti che vorrebbero superare i confini, le barriere, e che manifestano una domanda di libertà che può portare, in alcuni angoli del mondo, a subire la repressione”. La posta in gioco – osserva Manconi – è per loro e per tanti altri giovani come loro, quella di affermare il principio di libertà al di là dei confini e della logica militare.
Noury ha confessato di aver sempre nutrito speranza per un suo rilascio, ma di aver temuto sopratutto la ”lunghezza della sua pena” e di aver pensato che Amnesty avrebbe dovuto preparare una campagna molto più lunga. Chi ha manifestato per lui ha fatto la giusta pressione per arrivare alla liberazione, ha osservato.
Lo stesso Zaki ha confermato che ”vi sono stati momenti in cui mi sembrava di perdere la speranza….soprattutto quando miei amici e colleghi sono stati arrestati, ma poi ho superato questo stato di prostrazione….ho resistito perchè sapevo che questa era una battaglia non solo per me, ma anche per altri nelle stesse condizioni”.
Quanto a ciò che l’Italia ha fatto per Zaki, le parole di Manconi sono state molto dure: ”Si è trattato chiaramente di uno scambio: la vicenda Zaki poteva servire a rimuovere quella relativa a Giulio Regeni….da quando fu rinvenuto il corpo di Regeni l’atteggiamento dei diversi governi che si sono succeduti è stato caratterizzato dall’inerzia, dall’assenza di volontà di esercitare una vera strategia di pressione sull’Egitto. E’ come se l’Italia avesse rinunciato ad influire su quel despota e per me ha mostrato una indecente pusillanimità’‘.
Per tutti la vicenda di Zaki – e ancora più quella di Regeni – rimette in primo piano la questione della tortura; nel libro Patrick si limita ad accennare a quanto accaduto a lui, torturato dal punto di vista fisico e psicologico, ma il tema è sullo sfondo.
Per Noury in Italia manca una cultura politica dei diritti che porta a pensare che ”i diritti umani siano una cosa di sinistra…che porta a credere che sia abnorme lavorare contemporaneamente per Navalny, Assange, Zaki, per un artista cubano.. ecc”, come se i diritti umani e civili fossero appannaggio solo di qualche parte politica; ma Zaki, ha aggiunto li responsabile di Amnesty, si è salvato anche perchè ha cominciato a scrivere e questo dice molto dell’ ”importanza della scrittura per resistere; la letteratura carceraria aiuta a tenere in vita perchè le loro sbarre non trattengono in tuo pensiero”.
“In qualità di difensore dei diritti umani sono sempre stato a favore della pace, ma per ottenerla c’è bisogno di giustizia giusta e negli ultimi anni questa giustizia non c’è stata, con l’apartheid, la pulizia etnica e tutto ciò che ha comportato”, ha spiegato Zaki, parlando del conflitto israelo-palestinese. “Questa guerra va avanti da anni, oggi noi ne abbiamo visto la brutalità: la presa di ostaggi, le morti, il bombardamento di un ospedale, la mancanza di generi alimentari e di acqua. Noi attivisti chiediamo un cessate il fuoco, di porre fine alla guerra, il rientro degli ostaggi, perché non vogliamo la tragedia per i civili”, ha proseguito Zaki. “Il conflitto ha un impatto su tutto il mondo. C’è sempre un modo per trovare la pace. ma la pace ha bisogno di persone giuste, pronte a parlare”.
”Il maledetto 7 ottobre – ha raccontato Manconi – io ho pensato di stare incondizionatamente dalla parte delle vittime ebree e incondizionatamente contro Hamas. Allo stesso modo oggi siamo incondizionatamente dalla parte dei civili palestinesi intrappolati a Gaza; rifiuto la gerarchia del dolore, quella della conta dei morti”.
”Anche io sto solo dalla parte delle vittime, dalla parte dei civili”, ha concluso Zaki.