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Donne e diplomazia: sei storie sul Corriere della Sera raccontano rivoluzione alla Farnesina

ROMA, 27 AGOSTO – Una rivoluzione in sei storie speciali di donne in diplmazia: Mariangela Zappia, Daniela D’Orlandi, Gabriella Biondi, Giuliana Del Papa, Eleonora Lopez e Giulia Romani sono le protagoniste di un articolo del Corriere della Sera sulle donne della Farnesina. “Ci chiamano ‘gentile signora’, e i maschi sono tutti ‘dottori’. Ma la missione e’ possibile'”, e’ il titolo dell’inchiesta di Antonella Baccaro che si puo’ leggere qui, rilanciata anche sul sito del Ministero.

Diplomatiche non si nasce. E in Italia diventarlo può essere ancora difficile, ma non impossibile. Servono competenza, passione e perseveranza per accedere alla carriera. Pragmatismo e flessibilità (e compagni di vita pazienti) per farla. La parità di genere in questo ambito è ancora lontana se, a oggi, le donne che vi operano sono 256 (24,28%). Numeri dal 1964, anno del primo concorso aperto alle donne. Rispetto al 2005, quando sono state nominate le prime ambasciatrici Graziella Simbolotti e Iolanda Brunetti, oggi a ricoprire il massimo grado sono in sei: quasi una su quattro incarichi disponibili. L’inchiesta dà voce a sei donne impegnate a vari livelli nella carriera diplomatica. Ne emergono aspetti differenti e un punto in comune: un coro unanime di incoraggiamento verso le giovani che vogliano entrare in questo mondo complesso e affascinante.

MARIANGELA ZAPPIA, Ambasciatrice d’Italia negli Stati Uniti d’America, e’ la donna dei primati: pioniera nel ricoprire tale carica a Washington, ma anche la prima donna Rappresentante Permanente alle Nazioni Unite a New York e al Consiglio Atlantico (NATO). É suo anche il primato femminile come Consigliere Diplomatico del Presidente del Consiglio dei Ministri e Sherpa del G7/G20.

«L’idea di servire il mio Paese in me è sempre stata molto forte. Viene dalla tradizione familiare: mio padre era ufficiale dei Carabinieri. Il resto l’ha fatto l’ambiente accademico di Firenze, così internazionale. Capii che il mondo era più ampio della mia realtà fiorentina. Nel mio anno fui l’unica donna a vincere il concorso diplomatico ma non compresi quanto maschile fosse il mondo in cui stavo entrando fino al primo giorno di lavoro: da subito mi scontrai col pregiudizio di alcuni per cui determinate competenze non venivano considerate “adatte” a una donna. Un atteggiamento un po’ paternalista.

Ora è la società a essere cambiata: non ci sono più professioni esclusive. Ma i numeri sono ancora lontani dalla parità. Mi sono occupata spesso di situazioni di crisi e mi sono resa conto di quanto, ad esempio, le donne siano quasi assenti nei processi e negli accordi di pace, pur dovendo portare sulle spalle il peso della loro attuazione.

Faccio parte di una rete, l’International gender champions, i cui i membri si impegnano a promuovere la parità e, come Ambasciata, abbiamo aderito all’iniziativa “Campioni della Parità” del Ministero degli Esteri. Nelle attività pubbliche teniamo conto di questo principio nella composizione dei panel, come nei miei interventi. Ho reclutato Gender Champions uomini perché quella della parità non è una causa delle donne per le donne, ma di tutti per una società non solo più giusta ma più produttiva. Anche nelle decisioni di policy c’è una modalità femminile, caratterizzata da concretezza nel raggiungere gli obbiettivi, empatia e capacità di lavorare in team. In principio, sarei favorevole alle “quote di genere” almeno per recuperare il gap più rapidamente dei quasi 200 anni che le Nazioni Unite stimano che ci vorrebbero senza stimoli. Penso che sarebbe un bel segnale che anche il nostro Paese dichiarasse una “politica estera femminista”, come hanno fatto Canada, Francia, Messico, Spagna, Svezia e altri. Forse c’è una remora ad “etichettare” ma di fatto la nostra politica estera ha già tra i suoi obiettivi trasversali la parità di genere, come lo stesso Pnrr. Alle più giovani dico: credete in voi stesse. Conciliare il lavoro con la famiglia non è facile ma si può fare, e la nostra Amministrazione è molto più attenta di quando 40 anni fa entrai in carriera».

 

DANIELA D’ORLANDI, Ambasciatrice d’Italia in Ghana e Togo, e’ passata dal Cerimoniale Diplomatico della Repubblica, presso l’Ufficio delle Visite all’estero e in Italia a Vice Capo Missione presso l’Ambasciata d’Italia a Santo Domingo. Poi una carriera a difesa dei diritti umani: dalla Rappresentanza Permanente d’Italia al Consiglio d’Europa a quella delle Nazioni Unite di Ginevra.

«Ho sognato questa carriera sin da bambina: mio padre era ambasciatore in Vietnam durante la guerra. E’ morto quando avevo tre mesi per una malattia contratta durante la sua prigionia in India, dove fu deportato dagli inglesi. Mia madre, che è vietnamita, mi portò a Parigi, dove ho studiato fino alla laurea in Economia Applicata all’Università di Parigi-Dauphine. Ho superato il concorso al terzo tentativo, mentre già stavo pensando di occuparmi di finanza. Tra i primi incarichi, quello presso il Cerimoniale diplomatico della Repubblica, mi ha subito galvanizzato.

Pur avendo tre figli, sono riuscita a conciliare vita personale e professionale grazie anche alla sensibilità dei miei superiori e al fatto che la Farnesina persegue le pari opportunità. Sono sposata con un collega e, ora che sono Ambasciatrice, è stato lui a fare il sacrificio di seguirmi in Africa. Sono partita nel mezzo della pandemia con tutta la famiglia, e per fortuna, altrimenti quando li avrei rivisti? Mi sono battuta per i diritti delle donne durante il mio incarico alle Nazioni Unite e per la prima volta abbiamo portato nell’Onu il concetto di discriminazione nei confronti delle lavoratrici incinte. Chi aspira a fare questo mestiere sappia che bisogna sempre superare i propri limiti. Ma le nuove generazioni, più aperte culturalmente, mi fanno ben sperare».

 

GABRIELLA BIONDI, Vicecapo di Gabinetto presso il Ministero degli Esteri, ha fatto tre anni in Albania, durante il periodo della crisi del Kosovo, cinque alla Rappresentanza italiana Onu a New York per poi passare alla Direzione Nazioni Unite della Farnesina. Ha diretto l’Istituto Diplomatico per tre anni, è stata  Direttrice centrale per l’Asia, prima di approdare al Gabinetto del Ministero.

«All’Università avevo già in mente il mio percorso. Così ho studiato quello che il concorso avrebbe richiesto. Nel mio anno, il 1996, lo superammo in sette su 23. Mi sentivo dire che non era una carriera per donne. Purtroppo lo sento ancora. Da direttrice dell’Istituto Diplomatico, andando nelle Università per reclutare studenti, solo le ragazze  mi chiedevano come conciliare lavoro e famiglia. È vero che fare figli può essere percepito come un ostacolo. Io li ho fatti tardissimo: dopo 10 anni di matrimonio. Ammetto che non avrei avuto la stessa carriera se mio marito non si fosse preso carico del 50% della gestione familiare. Ma va anche detto che le tutele ci sono: se avessi voluto seguire mio marito, avrei potuto farlo, mettendomi in aspettativa. Non è retribuita ma si conserva il posto. E poi, sfatiamo un mito: non è obbligatorio girare il mondo come delle trottole, si possono anche spendere periodi più lunghi a Roma, senza inficiare la carriera.

Momenti di difficoltà ne ho vissuti: a 28 anni, durante la crisi in Kosovo, a Tirana avevo l’incarico di interfacciarmi con le Forza Armate. Ho imparato a farmi ascoltare. E ho notato che noi donne siamo più concise e andiamo al punto rispetto ai colleghi. Esiste un modo femminile di creare legami. All’Onu avevo una rete di donne con cui ci capivamo al volo: «Vogliamo trovare un accordo e tornare a casa prima?» ci dicevamo. Alle più giovani suggerisco di non desistere. Nei concorsi molte lasciano a un certo punto della selezione, come se non si fidassero di loro stesse. Non lasciatevi spaventare».

 

GIULIANA DEL PAPA, Capo dell’Unità di Analisi e programmazione del Ministero degli Esteri, dall’Ambasciata d’Italia a Lima e’ passata a Madrid come Consigliera politica. Tornata a Roma, diventa Capo Ufficio Corno d’Africa e poi Vice Capo Missione ad Addis Abeba. A Bruxelles è coordinatrice delle politiche in ambito energia, trasporti, agricoltura, pesca e salute. In Italia assume l’incarico di Capo Ufficio per l’assistenza umanitaria del Ministero

«Sono arrivata alla diplomazia quasi per caso, frequentando un master all’Ispi. Il concorso è stata un’esperienza durissima: un anno intero di preparazione su un ventaglio ampio di materie. All’inizio c’è grande entusiasmo, poi però le ore non bastano più e la nozione di tempo libero perde qualunque significato. Ho fatto due figli ma a prezzo di grandissima fatica. Dobbiamo imparare dagli altri Paesi: a un certo punto bisogna spegnere la luce.

Come presidente dell’Associazione Donne Italiane Diplomatiche e Dirigenti cerco i “colli di bottiglia” delle nostre carriere. Ad esempio, nel concorso c’è una prova attitudinale, che prevede la scelta multipla, che non mi sembra in linea con le attitudini femminili. Non vogliamo scorciatoie. Ma se noi donne non abbiamo mai i meriti che vengono ricercati per determinati incarichi di rilievo, vuol dire che il merito non ha una definizione neutra sul piano del genere. L’anno scorso una circolare ministeriale ha richiamato chi ha responsabilità a applicare il principio di non discriminazione nella composizione delle delegazioni e a favorire la conciliazione e la genitorialità. E per la prima volta nella Conferenza degli ambasciatori e ambasciatrici c’è stato un panel sulla questione di genere. C’è bisogno di rappresentare il nostro Paese anche attraverso le donne, perché i nostri diritti nel mondo stanno regredendo e sono spesso terreno di uno scontro di valori».

 

ELEONORA LOPEZ, Primo segretario dell’Ufficio economico, commerciale e stampa dell’Ambasciata d’Italia a Kiev, ha cominciato presso l’Ufficio del Sottosegretario con delega all’America Latina e Centrale, poi il lavoro a 360 gradi presso l’Ambasciata di Atene, mentre nel 2015 la crisi migratoria si abbatte sulla Grecia. Dal gennaio 2020 è in servizio presso l’Ambasciata d’Italia a Kiev, dove ha seguito le operazioni di evacuazione dei connazionali e il riposizionamento della sede a Leopoli.

«Pensavo di lavorare in un ONG, poi ho tentato il concorso. Difficilissimo: i cinque giorni di scritti sono molto intensi. Nel mio anno le donne erano quasi la metà di chi lo vinse. Può provarci chiunque. Certo, serve tanto studio e sangue freddo. Sono entrata al lavoro giovane. Dopo una prima esperienza alla Farnesina dedicata al Sud America, è arrivata la Grecia nel pieno della crisi economica e migratoria: ricordo i cittadini in fila ai bancomat e gli anziani cui venivano offerte le sedie. Mi sono trasferita a Kiev subito prima dell’emergenza Covid, ma è stata la guerra a cambiare tutto in una notte. L’aspetto umanitario ha prevalso, quando abbiamo dovuto evacuare e assistere gli italiani e andare nei luoghi dei massacri, come Bucha e Irpin. I miei figli sono piccoli e la loro vita era a Kiev, ancora oggi vogliono tornarci. Conciliare vita e lavoro non è stato facile: per fortuna mio marito fa lo stesso mestiere. Gli orari e i ritmi sono impegnativi: per questo sarebbe utile sviluppare ulteriormente forme di lavoro flessibile.

Sinora non ho mai lavorato con altre colleghe diplomatiche. Ma dagli uomini non ho subito vere discriminazioni. Certo, talvolta c’è la tendenza a far parlare noi giovani donne per ultime. E gli interlocutori esterni spesso mi chiamano “gentile signora”, mentre i pari grado maschi vengono appellati “dottore”. Esistono doti specifiche femminili? Sì e sono riconosciute: essere multitasking e avere sensibilità nelle relazioni».

 

GIULIA ROMANI, Consigliere di Legazione presso l’Unità di Crisi del Ministero degli Esteri, e passata da Segretario di legazione nella Cooperazione allo Sviluppo all’Ambasciata in Iraq nella Sezione Commerciale e di Cooperazione. Dal Consolato Generale a Londra durante la Brexit a Consigliere di legazione all’Unità di Crisi della Farnesina durante la crisi afghana, il Covid, la guerra in Ucraina. Prossima destinazione: il Consolato Generale di Toronto.

«Pensavo di fare Medicina o Lettere Antiche ma la mia prof di Storia mi ha involontariamente dirottata su Scienze politiche, con preoccupazione della famiglia. Una volta laureata ho superato il concorso al primo tentativo, come molte altre donne. A 23 anni l’impatto al lavoro è stato traumatico ma sono stata aiutata: alla Cooperazione c’era l’Ambasciatrice Belloni e uno staff amministrativo tutto al femminile che mi ha adottata. La missione in Iraq, dopo i primi mesi, ha preso una piega tragica con la caduta di Mosul e l’Isis alle porte. Stando tra i profughi del Kurdistan ho imparato a dare il giusto valore alle cose. Il nostro è un mestiere assurdo e bellissimo: l’ho pensato quando mi sono ritrovata sul tetto dell’ambasciata, in salvo dalla piena del Tigri, sotto la luna. A Londra curare una comunità di 6-700 mila italiani, soprattutto dopo la Brexit, è stato impegnativo. E umanamente difficile è stato  gestire gli effetti di alcuni attentati e l’incendio della Grenfell Tower, dove sono morti dei giovani connazionali. Quello attuale all’Unità di crisi della Farnesina è un incarico di cui sono orgogliosa: è incredibile quante soluzioni si producono per assistere i connazionali. L’ho sperimentato in epoca Covid. Al momento non penso a una famiglia. Se cambiassi idea, spero che il lavoro mi renda la flessibilità che gli ho offerto fin qui». (@OnuItalia)

 

 

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OnuItaliahttps://onuitalia.com
Il giornale Italiano delle Nazioni Unite. Ha due redazioni, una a New York, l’altra a Roma.

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