KANDAHAR, 6 SETTEMBRE – ”Dare continuità alle attività umanitarie è la nostra priorità. Come nei Trauma Points che sosteniamo a Kandahar, dove curiamo circa 30 persone al giorno”: la ‘lettera di intenti’ dell’organizzazione umanitaria INTERSOS è scarna e diretta e nella sua essenzialità fotografa ciò che nel corso dei mesi segnati dal progressivo aggravamento del conflitto in Afghanistan, l’organizzazione ha fatto e continua a fare. Scrivono i volontari di INTERSOS: ”Il nostro intervento ha garantito accesso a cure altrimenti non disponibili e assistenza sanitaria in aree che ne sarebbero state, altrimenti, completamente sprovviste. INTERSOS è attiva nelle province di Kandahar e Zabul, dove il conflitto è stato particolarmente acuto dall’ultimo trimestre del 2020. Nella provincia di Kandahar si concentra il più alto numero di vittime civili in questa fase di conflitto. Negli ultimi tre mesi, i due Trauma Point (FATP, First Aid Trauma Point) che supportiamo a Kandahar hanno prestato soccorso a centinaia di civili feriti nel corso dei combattimenti o colpiti da mine antiuomo. Tra questi, decine di donne, bambine e bambini”. I Trauma Point sono strutture sanitarie specializzate in grado di trattare i pazienti anche in caso di gravi infortuni, come traumi alla testa o lesioni interne, e di praticare operazioni chirurgiche, stabilizzando e rinviando alle strutture ospedaliere specializzate i casi che ne hanno bisogno. Dalle venti alle trenta persone al giorno vengono curate nei due Trauma Point di Kandahar. Strutture in grado di salvare vite umane perché offrono cure di emergenza altrimenti introvabili.
La presenza in aree remote, meno coperte dai servizi sanitari, dove spesso non esistono mezzi di trasporto che non siano gli animali domestici, ”è una caratteristica del nostro intervento. È il caso dei diversi centri di salute primaria che sosteniamo nelle due province. Come la clinica di Azim Jan Kariz, nel distretto di Maywand, tra Kandahar e Lashkar Gah. Qui negli ultimi 20 anni le persone non sapevano neanche quale fosse la loro clinica di riferimento, perché non esisteva –racconta uno dei medici afgani di INTERSOS – Le persone sono sprovviste di nozioni mediche fondamentali, come quelle che riguardano le cure ante e post natali per le donne, e non esistono negozi dove acquistare beni di prima necessità”.
In condizioni così estreme l’assistenza sanitaria riparte dalle basi. Nascere, crescere. Gli interventi a sostegno della salute materna e infantile hanno un ruolo centrale nei progetti dell’organizzazione. Appena la metà dei neonati, secondo i dati UNICEF, viene allattato al seno, solo il 12% dei bambini e delle bambine sopra i 6 anni riceve una dieta adeguata, una ragazza adolescente su tre soffre di anemia.
L’Afghanistan ha uno dei tassi di malnutrizione più alti al mondo. Il 41% dei bambini è malnutrito e il 9,5% si trova in condizioni estreme di malnutrizione acuta severa, la forma più grave di malnutrizione, che in assenza di cure può portare rapidamente alla morte. In generale, le persone in condizioni di grave insicurezza alimentare si stima siano in questo momento oltre 9 milioni.
Sono numeri drammatici. Quelli di una delle più gravi crisi umanitarie al mondo. Numeri ulteriormente peggiorati negli ultimi mesi e che rischiano di subire un ulteriore deterioramento, per via della carenza di risorse finanziarie e delle difficoltà di accesso a medicinali e beni di prima necessità. ”Per tutte queste ragioni afferma INTERSOS – rimanere in Afghanistan, a 20 anni dall’inizio del nostro intervento nel Paese, è e continua ad essere un dovere morale e un obiettivo centrale della nostra strategia umanitaria….In questi giorni abbiamo visto le drammatiche immagini di migliaia di persone in fuga all’aeroporto di Kabul. Milioni sono, però, le persone rimaste nel Paese, ed è per loro che abbiamo scelto di restare in Afghanistan, di continuare ad essere in prima linea con il nostro lavoro. È una scelta che ha ragioni profonde, e che ci vede tutti impegnati”.
”Restiamo in Afghanistan – spiega infine INTERSOS – per essere vicini alla popolazione in una crisi senza precedenti.
Restiamo in Afghanistan perché milioni di persone dovranno contare sugli aiuti umanitari per sopravvivere.
Restiamo in Afghanistan per individuare e curare bambini gravemente malnutriti, prevenendone la morte.
Restiamo in Afghanistan per promuovere la salute delle donne e garantire cure mediche in aree remote e prive di servizi.
Restiamo in Afghanistan per le centinaia di migliaia di sfollati, i feriti di guerra, le persone mutilate dalle mine antiuomo.
Restiamo in Afghanistan perché dopo 20 anni, sentiamo il dovere umanitario di restare più che mai vicini a un popolo che ha sofferto troppo”.