ROMA, 6 AGOSTO – Un ragazzo di 17 anni, Sajad Sanjari, condannato a morte per un omicidio commesso quando ne aveva 15, è stato impiccato nella prigione di Dizelabad, nella provincia di Kermanshah, in Iran. Lo denuncia Amnesty International secondo cui l’esecuzione è avvenuta in segreto ed è stata resa nota dalla famiglia, che era stata chiamata dalla direzione del carcere per ‘ritirare il corpo’.
Sanjari era stato giudicato colpevole di aver accoltellato un uomo ma aveva sempre sostenuto di aver agito per autodifesa dopo che quello aveva cercato di stuprarlo. Nel 2015 era stato sottoposto a un nuovo processo, sulla base delle linee guida del 2013 che lasciano al giudice di decidere se un reo minorenne è in grado di rendersi conto di quanto commesso e delle sue conseguenze. L’appello era terminato con una nuova condanna a morte.
Esecuzioni con preavviso minimo o, come in questo caso, in cui ai familiari di Sanjari è stato persino negato di dire addio al loro congiunto, confermano che le autorità iraniane stanno cercando di rendere vane le iniziative, legali o umanitarie, per salvare vite umane. Un primo tentativo di eseguire la condanna a morte di Sanjari, nel gennaio 2017, era stato fermato proprio grazie a una campagna internazionale.
L’esecuzione di minorenni al momento del reato è vietata dal diritto internazionale.
L’Iran è rimasto l’unico stato a mondo a violare questo divieto, con almeno 95 esecuzioni di questo genere dal 2005, tre delle quali nel 2020.
Nei bracci della morte dell’Iran sono in attesa dell’esecuzione almeno 80 detenuti condannati per reati commessi in età inferiore ai 18 anni. Per due di loro, Hossein Shahbazi e Arman Abdolali, la messa a morte potrebbe essere imminente. Quella di Shahbazi era stata fissata per il 25 luglio ma era stata rinviata, sempre a seguito degli appelli internazionali.