ROMA, 5 GIUGNO – Anche se è scomparso dalle cronache, il tema della rotta balcanica percorsa dai migranti che giungono per lo più da paesi in guerra con Siria, Iraq o Afghanistan resta di forte attualità: la scorsa settimana una delegazione della Comunità di Sant’Egidio ha fatto visita ad un campo profughi in Bosnia, dove transitano ancora migliaia di migranti che cercano di raggiungere l’Europa nonostante i tanti muri eretti lo scorso anno. E’ l’ultima tappa di una delle vie d’ingresso nell’Unione Europea, anche se meno nota rispetto alla traversata del Mediterraneo. Poco utilizzata fino al 2015, si è ritrovata sotto l’attenzione di tutti in seguito all’afflusso di decine di migliaia di siriani in cerca d’asilo lungo Turchia e Grecia.
Con l’accordo siglato nel marzo 2016 tra UE e Turchia, sembrava ormai chiusa, ma nel gennaio 2018 ha ripreso importanza, come alternativa al passaggio in Libia. Così la Bosnia ha acquisito una nuova centralità, anche perché il confine ungherese è pesantemente presidiato, divenendo l’ultimo avamposto per tentare di entrare in Croazia, e poi in Slovenia, in Italia, in Austria.
Oggi nel piccolo paese balcanico ci sono più di 7.000 profughi, ma i transiti sono molto più numerosi ed il trend è in aumento. Le nazionalità più rappresentate sono pachistana iraniana, siriana, afghana.
Sant’Egidio ha visitato in particolare alcuni centri a Sarajevo e nella regione di Bihac, che si incunea profondamente nel territorio croato. Proprio da Bihac molti profughi cercano di varcare la frontiera ed entrare nella UE. Girando la città, tra i giardini, nelle piazze, si incontrano spesso uomini e giovani soli in attesa di partire. Parlano, è la testimonianza di Sant’Egidio, del tentativo di passaggio come di ”the Game”, un terribile gioco d’azzardo, che consiste nel tentare di forzare il confine muovendosi di corsa, in massa, in centinaia, tutti insieme contemporaneamente. Molti saranno respinti, ma qualcuno ce la farà a passare ….
Nei centri, i racconti dei profughi sono ricchi di mille particolari, più o meno terribili, tutti toccanti. Uomini, donne, adolescenti soli raccontano della morte di chi non ce l’ha fatta lungo le migliaia di km che costituiscono il tragitto dall’Asia centrale ai Balcani; ovvero di storie e di aiuto da parte di chi si incontra durante il viaggio, come pure della disumanità di altri. Un curdo iraniano, padre di famiglia, ha spiegato come il viaggio si calcoli in paia di scarpe che si consumano camminando per giorni, settimane, o mesi, e come ci si debba attrezzare con altre scarpe per il percorso ancora da fare. Per quell’uomo curdo, alla ricerca di un’opportunità, essa si trovava ancora a tre paia di distanza.