(di Alessandra Baldini)
NEW YORK, 2 APRILE – Peter Tannenbaum verrà dalla California, Felicia Wax, Sara Guttman e Haim Frenkel da Israele. Un filo rosso lega i «bambini di Grugliasco» che giovedì 6 aprile si incontreranno per la prima volta da adulti sul prato della loro infanzia. L’iniziativa del comune nell’area metropolitana torinese punta i riflettori su una pagina semi dimenticata dell’immediato dopoguerra. Una storia di 70 anni fa che tanti paralleli offre con un dramma dei nostri giorni: le migrazioni nel Mediterraneo.
Matematico dell’Università di California, Peter Tannenbaum è nato a Genova nel 1946 e arrivò ancora in fasce nel campo allestito dall’UNRRA (l’organizzazione che sarebbe poi diventata l’IRO e poi l’UNHCR, l’agenzia Onu per i rifugiati) nei padiglioni dell’ex ospedale psichiatrico femminile di Grugliasco. I genitori erano sopravvissuti all’Olocausto nascondendosi in una cantina di Budapest sotto l’occupazione nazista. “Per oltre due anni coabitarono con altri profughi ungheresi, tutti amici”, racconta: “A loro piaceva parlarmi di quel periodo, di come era bello, che c’era un grande parco dove mia madre mi portava in giro in passeggino. Degli anni di Grugliasco, degli italiani che avevano conosciuto lì, hanno sempre conservato bellissimi ricordi. Fu, nella loro vita, un periodo buono, soprattutto in confronto a quello che avevano passato”.
La famiglia di Haim veniva dalla Polonia: i genitori Israel e Dora sono morti (la mamma solo quattro anni fa), ma è ancora viva la zia Rachel che era insieme a loro a Grugliasco ed è una delle poche «memorie storiche» rimaste di quegli anni. «Tutti conoscono la tragedia che colpì gli ebrei durante la guerra e che negli anni successivi molti sono riusciti a ricostruirsi una vita. Ma esiste un anello mancante nella storia dei sopravvissuti, tra il momento della liberazione e la ripresa di una vita più o meno normale?», si è chiesto un altro «bambino di Grugliasco», Eli Rubinstein, in The Italian Renaissance, il libro dedicato al viaggio della sua famiglia, dalla Shoah al Canada, passando per il Piemonte, dove lui vide la luce, nel 1948, al Maria Vittoria di Torino.
Di Grugliasco e delle sue «Vite in Transito» si è occupata la storica Sara Vinçon mettendo a fuoco la vicenda di Judith, la madre di Eli, sullo sfondo della grande migrazione che subito dopo la fine della guerra fece passare in Italia oltre 70 mila ebrei alla ricerca di una nuova «Terra Promessa». Oltre 200 bambini nacquero nel «limbo» di Grugliasco mentre i genitori erano impegnati a «imparare di nuovo a vivere». La famiglia di Peter e quella di Felicia finirono in Uruguay; gli Usa e la Palestina, dove stava nascendo lo stato di Israele, erano le mete più richieste.
L’appuntamento del 6 aprile vuole chiudere un cerchio. L’amministrazione guidata dal sindaco Roberto Montà ha voluto ricordare il percorso di rinascita che i sopravvissuti, pur tra mille difficoltà, poterono compiere, organizzando la giornata di incontro e una mostra documentaria e fotografica. Le carte vengono dall’Onu, le immagini le hanno messe a disposizione in buona parte i protagonisti di questa storia: i bambini nati nel campo o lì accolti piccolissimi, seduti in semicerchio, alcuni dei quali giovedì si incontreranno su quello stesso prato, per la prima volta da allora. (@alebal)