PADOVA, 23 MARZO – Nel 2020 nel mezzo del lockdown Medici con l’Africa Cuamm ha raggiunto i pazienti di Tbc casa per casa, perché non abbandonassero le cure: 85% delle terapie concluse con successo e tasso di abbandono calato all’11%. Successi che anche in Africa dimostrano l’importanza di mettere al centro il territorio e le comunità, ha reso noto la Ong padovana in occasione della Giornata Mondiale contro la Tubercolosi, il 24 marzo, unendosi all’appello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), secondo cui “Il tempo sta scadendo” se vogliamo porre fine a una malattia che contagia 10 milioni di malati nel mondo e ha provocato 1,4 milioni di morti solo nel 2019.
Il 25% dei nuovi casi registrati ogni anno è in Africa e l’arrivo del Covid-19 nell’ultimo anno ha messo a dura prova i sistemi sanitari anche in questo continente. Dall’Uganda, dove in Karamoja Medici con l’Africa Cuamm porta avanti due progetti finanziati da Fondation Assistance International (FAI) e dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), proprio nell’anno del Covid-19 arrivano segnali di speranza, che dimostrano come con la giusta determinazione la lotta contro la “malattia della povertà” si possa ancora vincere.
«Con il Covid-19 abbiamo temuto di vedere il lavoro di anni rovinato per sempre. Il governo infatti un anno fa ha bloccato i trasporti pubblici, imposto un coprifuoco, e vietato gli spostamenti: il timore era che le persone non venissero più in ospedale per le visite mensili e per ritirare i farmaci. In accordo con le autorità locali quindi abbiamo sviluppato, nel pieno dell’emergenza, un supporto di home based care per i pazienti, visitandoli e distribuendo i farmaci a domicilio, in un’area rurale, con popolazioni semi nomadi”, spiega Simone Cadorin, capo progetto di Medici con l’Africa Cuamm a Moroto: “Non solo abbiamo mantenuto i pazienti in trattamento, ma abbiamo anche migliorato di molto i risultati, passando dal 36% di terapie concluse con successo nel 2019 all’85% nel 2020 e portando il tasso di abbandono dal 42% all’11%».
I problemi legati alla lotta a virus e malattie infettive sopesso partono dalla comunita’. Come racconta Paul Okala, un paziente seguito da Medici con l’Africa Cuamm che ha dovuto subire le conseguenze dello stigma e dei pregiudizi sul Covid-19, in Karamoja la gente non vede bene chi usa la mascherina. “Ho scoperto di soffrire di tubercolosi resistente ai farmaci prima dell’arrivo del virus. Mi hanno curato a Matany e poi avrei dovuto continuare a prendere le medicine a casa per un anno, usando la mascherina quando incontravo altre persone. Tutto è andato bene fino a quando non è arrivato il Covid-19. La gente ha cominciato a trattarmi male perché mettevo la mascherina: pensavano avessi il virus e che volessi infettarli”.
Combattere le false notizie legate al Covid-19 con attività di formazione per il personale sanitario e di sensibilizzazione nei villaggi è stato uno dei maggiori sforzi di Medici con l’Africa Cuamm in Uganda, come negli altri sette paesi in cui è presente. Molte persone avevano smesso di andare in ospedale per il timore di essere contagiate, con il risultato che molte donne rischiano la vita partorendo a casa, o molti bambini non vengono vaccinati contro le malattie più comuni. L’approccio home based sviluppato in Karamoja, secondo la Ong, dimostra invece che spingendosi all’ultimo miglio, parlando con le comunità e ascoltando i loro bisogni e le loro paure si può dare continuità ai progetti e fornire assistenza sanitaria a chi ha più bisogno. (@OnuItalia)