NEW YORK, 19 GIUGNO – Quella nello Yemen è la peggiore crisi umanitaria al mondo e il conflitto diventa sempre più violento; se non sarà fermato in tempo nel 2022 si rischia di avere 500.000 morti, tra cui 300.000 a causa della fame e della mancanza di cure mediche. E’ questo il nuovo grido d’allarme risuonato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu dalle parole di Mark Lowcock, sottosegretario generale per gli affari umanitari e coordinatore degli aiuti di emergenza in Yemen.
A quattro anni dall’inizio della guerra le cifre citate dall’Onu sono devastanti: i morti sono stati 70.000, 24 milioni di persone (l’80% della popolazione) hanno bisogno di assistenza e protezione, 10 milioni non riescono a sopravvivere senza aiuti alimentari d’emergenza, gli sfollati sono 3 milioni e 300mila, tra le vittime si contano migliaia di bambini.
Lowcock ha citato gli studi dell’Università di Denver, per chiedere maggiore solidarietà internazionale e azioni concrete per riportare la pace nel paese e risorse economiche da impiegare soprattutto per gli aiuti umanitari. La guerra, affermano le Nazioni Unite si fa sempre più violenta: lo scorso anno più di 100 ospedali e scuole sono stati colpiti da azioni di guerra (bombardamenti aerei, granate, mortai), almeno 600 attacchi al mese che hanno riguardato molte zone dello Yemen. Nel paese ci sono 30 fronti di guerra aperti, dove si combattono le parti in conflitto: gli insorti huthi, fedeli a all’ex presidente Ali Abdullah Saleh che hanno formato l’organizzazione armata Anṣār Allāh, e la coalizione a guida saudita che appoggia le forze leali al governo di Abd Rabbuh Mansur Hadi, fuggito ad Aden nel 2015. Il 13 dicembre scorso è stato firmato a Stoccolma un accordo che prevedeva il cessate il fuoco ma i combattimenti sono subito ripresi a Hodeida.
”Lo Yemen sta diventando sempre più violento e il conflitto peggiora, anziché migliorare- ha tuonato Lowcock – I combattimenti hanno costretto quest’anno 250.000 persone a lasciare le proprie case. Le uccisioni e i ferimenti dei bambini sono più che triplicati dagli ultimi 4 mesi del 2018 e i primi 4 del 2019. In questi ultimi giorni abbiamo visto un pericoloso e riprovevole aumento di attacchi sull’Arabia Saudita, e bombardamenti aerei su Sana’a e altre zone. Dopo decine di migliaia di bombardamenti aerei, colpi di mortaio e scontri in prima linea la situazione è cambiata solo marginalmente dal 2016. La guerra non solo è brutale, ma nessuno vince. Sono tutti d’accordo su questo, almeno nelle dichiarazioni pubbliche. Eppure la guerra continua”.
Dal punto di vista sociale lo Yemen ha un’economia distrutta, devastata, con una contrazione del 40%, e un aumento del 50% di persone bisognose di assistenza rispetto alla situazione precedente alla guerra. Un quarto dei bambini sono malnutriti, il 40% ha dovuto smettere di andare a scuola. Le precarie condizioni igieniche hanno portato alla diffusione di una epidemia di colera con 364.000 casi sospetti e 639 morti dall’inizio del 2019.
Lowcock ha elencato altre quattro priorità, oltre a quella degli aiuti umanitari: cessate il fuoco immediato, facilitare l’ingresso di aiuti umanitari bloccati da impedimenti burocratici, attuare misure per sostenere l’economia yemenita afflitta da una incessante svalutazione e impegnarsi per ‘progressi significativi verso la pace’.
Secondo il responsabile delle Nazioni Unire ”fortunatamente gli interventi sanitari delle organizzazioni internazionali hanno contribuito alla diminuzione di nuovi casi di colera. Ma a peggiorare la situazione settimane fa 80.000 persone sono state colpite da piogge torrenziali e alluvioni. Le già misere tende e baracche dove vivevano o rifugiati sono state distrutte, e l’Unhcr ha dovuto provvedere a ripari d’emergenza e forniture di materiali per riparare le case danneggiate. Quest’anno abbiamo bisogno di 4,2 miliardi di dollari ma ne abbiamo ricevuti solo 1,15 (il 27%). La Conferenza internazionale dei donatori a Ginevra, lo scorso mese di febbraio, si era impegnata per 2,6 miliardi di dollari. Soldi che non sono ancora arrivati, a distanza di quattro mesi. E ora, ha concluso, non c’è più tempo.